Siamo arrivati al D-Day per la Tav, la ferrovia ad alta velocità tra Torino e Lione, che è diventata la “linea di demarcazione” tra le forze politiche che sostengono il Governo giallo-verde. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha assicurato, ripetutamente, che la decisione dell’Esecutivo si avrà entro il 31 gennaio (anche per evitare che diventi uno dei fulcri della campagna per le elezioni europee di maggio). Alla fine della settimana scorsa, il vicepresidente del Consiglio, e Segretario della Lega, Matteo Salvini, ha sostenuto che l’opera non può essere ulteriormente differita, mentre il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli ha ribadito la propria ostilità al progetto e ha fatto notare che il suo collega Salvini non era presente alla commemorazione dell’incidente ferroviario di Pioltello – tragedia che tuttavia riguarda le infrastrutture e non ha nesso evidente con le funzioni del dicastero dell’Interno.
Nelle coulisses dei Palazzi romani si mormora che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte stia lavorando a un compromesso che salvi capra e cavoli: una mini Tav con solo il tunnel di base e, quindi, di minor costo. Si dimentica che nella vertenza non c’è solo il ministro Toninelli e parte del Movimento 5 Stelle (dove c’è una corrente che vede la Tav Torino-Lione come un apriscatole per Tav Napoli-Bari e Napoli-Reggio Calabria da collegare a eventuali Tav Messina-Siracusa e Messina-Palermo), ma hanno voce in capitolo anche il ministro per gli Affari europei Paolo Savona, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi e il ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria.
Prima di illustrare a chi piace e a chi non piace la mini Tav e quali sono le condizioni perché il compromesso possa essere tecnicamente valido, occorre fare un passo indietro. La Tav è stata oggetto negli anni di sette analisi economiche di amministrazioni pubbliche italiane, francesi e della Commissione europea e di almeno due private. Tutte hanno dato esito positivo. Le due private sono state validate a Berlino a un congresso scientifico dell’International Evaluation Association e a Catania a un congresso scientifico dell’Associazione italiana di valutazione. Il Ministro Toninelli ha, però, avvertito l’esigenza di commissionare una nuova analisi a un commissione presieduta dal quasi ottuagenario Prof. Marco Ponti, in pensione dal Politecnico di Milano dove è stato docente ordinario di Economia applicata e dove si è laureato in Architettura. Ci conosciamo dal 1985 quando mi invitò a tenere una conferenza a un centro studi di Milano prossimo alla Cgil.
Ponti viene descritto come pregiudizialmente ostile alla Tav. È una “conversione” degli ultimi tempi: con un sua società di consulenza collaborava con le Ferrovie (che avevano la Tav come principale obiettivo) nella seconda metà degli anni Ottanta e in parte negli anni Novanta. Le “male lingue” romane dicono che avesse fatto di tutto per entrare nella corte di Lorenzo Necci – soprannominato “Il Magnifico”. Gli andò meglio con l’entourage dell’allora ministro del Bilancio e della Programmazione economica Paolo Cirino Pomicino. Circa dieci anni fa pubblicò un lavoro a favore della Tav Torino-Lione su lavoce.info. Negli ultimi anni, si è espresso in articoli e interviste contro la Tav con toni da baluardo economico del movimento No Tav. Nei pettegoli ambienti accademici si mormora che si tratti una “conversione” sulla via non di Damasco, ma del M5S. Probabilmente, e verosimilmente, con il passare degli anni ha cambiato idea.
Il rapporto della “Commissione Ponti” è stato consegnato al Ministro Toninelli alcune settimane fa. Ponti ne ha parlato in programmi televisivi grandi e piccoli, ma il documentato non è mai stato diramato neanche al Parlamento. Il 24 gennaio, a un convegno scientifico sulla valutazione delle politiche e delle opere pubbliche, nella sala Nilde Iotti, parlamentari della sinistra hanno protestato sia perché l’analisi della Tav è stata affidata a Ponti (un tempo loro amico), sia perché il documento non è diventato oggetto di pubblico dibattito.
Da quanto detto da Ponti ai vari talk shows televisivi, il documento non verrebbe considerato adeguato dalla comunità scientifica italiana degli economisti e ancor meno da quella internazionale (il progetto è cofinanziato dalla Francia e dalla Commissione europea), l’aspetto più discutibile è il metodo adottato: è stata seguita un’analisi costi-benefici pensata per investimenti “marginali” e i cui costi e ricavi specifici si dipanano per un numero limitato di anni. Nel lessico degli specialisti, “marginale” vuol dire che l’investimento non incide sulle strutture dell’economia. Mentre l’obiettivo della Tav è di lungo periodo: modificare il sistema di trasporti nel corridoio Lisbona-Kiev al fine di accorciarne i tempi, ridurne i costi e aumentare la produttività dei fattori di produzione. Per valutare questi investimenti “non marginali” e per tenere conto dell’incertezza nelle stime (per esempio, le quantità delle varie modalità di trasporto – su ferro, su gomma – e dei loro prezzi relativi) nel lungo periodo ci sono due strade. La più tradizionale consiste nell’usare la versione moderna di quello che in Francia è chiamato “il metodo degli effetti”, ossia tracciare con un modello econometrico le implicazioni dell’investimento sulle strutture dell’economia, e quindi trovare la soluzione ottimale. Analisi di questo tipo sono state fatte dalla Francia e dalla Gran Bretagna, anche per il tunnel della Manica e in Italia per la transizione da televisione analogica a digitale terrestre.
Tuttavia, da trenta anni, per investimenti di grandi dimensioni e di lunga vita è stata introdotta la tecnica delle “opzioni reali” (da noi fu usata per analizzare gli investimenti per il corridoio di trasporti, dal Tirreno allo Jonico in Basilicata e altri progetti finanziati dal ministero dell’Economia e delle Finanze). Le due analisi italiane sulla Tav hanno utilizzato questa metodologia “estesa”, in ambedue il tasso di rendimento supera il 10% e sono state pubblicate da editori di qualità come Giappichelli. Ci sono, poi, numerosi errori tecnici quali quelli sollevati in un saggio di Massimo Tavoni (Politecnico di Milano) e Marco Percocco (Università Bocconi) pubblicato il 25 gennaio su lavoce.info tra cui una vera perla è considerare la riduzione delle accise e dei pedaggi come costi economici (alla collettività Italia) dell’opera e non transazioni finanziare (e spesso meri “trasferimenti” in gergo tecnico-economico), un errore da far saltare sulla sedia qualsiasi docente a un esame di primo anno di microeconomia. Inoltre, si proiettano nel lungo termine tendenze di traffico di breve termine, mentre dai tempi del basilare lavoro di Hans Adler (prima Bureau of The Budget americano e poi Banca mondiale) tutti sanno che quando si apre una via veloce il traffico costretto a prendere una strada impervia si indirizza verso quella più rapida.
Infine, non si comprende perché si utilizzi un tasso di attualizzazione dell’8% basato sul costo opportunità del capitale mentre, anche sulla base di un lavoro del Cnel del 2012 richiesto da Governo e Parlamento, anche l’Italia generalmente utilizza come parametro il 3,5% calcolato sulla base del tasso di sconto sociale quale stimato per Paesi “maturi”. Forse Ponti, che anche quando insegnava si dedicava molto alla consulenza, da quando è in pensione è tanto preso dalla sua azienda da non essere al corrente con i progressi della disciplina. Gli suggerisco il lavoro di Mark Moore e Aidan Vining The Social Rate of Preference and the Social Discount Rate in Mercatus Research Paper, December 2018.
A questo punto, il Ministro Toninelli o il presidente del Consiglio dovrebbero chiedere che un panel di esperti nominato dalla Società italiani degli economisti o dell’Accademia dei Lincei esaminassero il rapporto prima di una sua diffusione che potrebbe creare serio imbarazzo all’Italia, dato che dovrebbe essere discusso con la Francia e con la Commissione europea; come si è ricordato, gli uffici dell’una e dell’altra hanno già fatto analisi economiche del progetto. Quindi, nel Palazzo si è propensi ad accantonare il documento.
(1- continua)