Capire il meccanismo dell’euro non è facile, soprattutto per noi italiani, che siamo stati abituati ad avere le banche pubbliche. Se il sistema finanziario, assicurativo e bancario è di proprietà pubblica, i guadagni che questi sistemi realizzano rifluiscono nelle entrate dello Stato e contribuiscono a mantenere alto il livello dei servizi pubblici.
Se ci confrontiamo con la Francia e la Germania, in Europa siamo gli unici ad avere questi sistemi di proprietà privata e, peggio, a maggioranza partecipativa di capitali stranieri. Questo significa che più utilizziamo questi servizi (per inciso, dobbiamo riflettere sul fatto che siano stati imposti a tutti con una legge dello Stato) e più i loro proprietari guadagnano; siccome sono di proprietà estera, gli utili vengono dirottati nei Paesi proprietari, diminuendo la ricchezza dell’Italia. Avremmo bisogno di un giudice che andasse a Damasco e, come Saulo di Tarso, fosse illuminato per capire il sistema distruttivo della ricchezza italiana operato dalla Bce e dal suo euro.
Quando c’era la lira, la Banca d’Italia aveva il compito di emettere le banconote e godeva della sovranità monetaria, ma in cambio versava allo Stato l’1% del circolante, impiegando 100 anni per restituire il valore nominale di quello che guadagnava dal signoraggio diretto. Per quanto riguarda il rendimento della creazione monetaria, esso veniva rilevato nel conto economico dell’Istituto e, di conseguenza, copriva i costi di gestione, pagava le imposte allo Stato italiano e gli utili venivano girati secondo lo Statuto fino all’ammontare massimo del 10% del valore nominale delle quote (essendo, queste, pari a 300 milioni di lire, il dividendo distribuibile era quindi 30 milioni di lire, cioè poco meno di 15.500 euro) ai partecipanti (tutti organismi pubblici) e la più consistente differenza allo Stato.
Con l’euro questo versamento è venuto a mancare e la Banca d’Italia trattiene su 100 euro emessi 92 euro e gli altri 8 li cede gratuitamente alla Bce. Quindi con il passaggio dalla lira all’euro, lo Stato ci rimette l’1% e, poiché il sistema monetario è diventato straniero, ci rimettiamo anche gli interessi che lo Stato deve pagare alle banche creditrici e quello che i cittadini hanno contratto con le banche con capitale a partecipazione estera: la nostra moneta sarebbe costata molto meno, ma soprattutto non drenava la ricchezza reale del Paese.
Abbiamo finito? Assolutamente no! Tutto il valore delle banconote e dei depositi elettronici attribuiti all’Italia e della creazione bancaria, cioè il vero signoraggio, è diventato di colpo di proprietà estera. Quello che era nostro è diventato il nostro debito!
Ma c’è un’ulteriore tragedia, adesso che il Quantitative easing è cessato (e abbiamo visto che esso ha elargito tanto ai Paesi “no Pigs”, rendendoli partecipi della sovranità monetaria in capo alle banche centrali, mentre a noi è costato molto, tant’è vero che l’inflazione in Italia nel 2018 è stata dell’1,1%, mentre questa Europa ha fatto registrare l’1,7%) possiamo anche fare un bilancio dell’operato di questo Sistema europeo di banche centrali.
Innanzitutto, la Bce ha sempre sbagliato per difetto le previsioni sull’inflazione, che è stata sistematicamente inferiore all’obiettivo prefissato. Ma l’errore della Bce è tutto nei fondamentali dell’euro che, essendo emesso solo a debito, incorpora un effetto deflattivo: come ripeto continuamente, occorrerebbe che la Bce acquistasse beni e servizi nei Paesi debitori per un importo almeno pari agli interessi maturati a carico di tali Paesi; solo così si riequilibrerebbero i conti finanziari e non avremmo tracolli bancari (salvo le operazioni in derivati). Pertanto l’operato della Bce e dell’euro agisce a sfavore dei soggetti più deboli, perché la sua leva finanziaria impedisce che si determini la giusta quantità di inflazione che agevoli la riduzione naturale dei debiti.
Per l’Italia, poi, vige il divieto di attuare politiche anti-cicliche, il che la costringe a subire i condizionamenti sul debito, costringendo a pagare tassi d’interesse significativamente più elevati rispetto al dovuto, atteso che l’incremento grava non solo sul tasso nominale, ma anche sull’ammontare del capitale che, di fatto, subisce una rivalutazione reale su quanto naturalmente dovuto se l’inflazione avesse potuto esprimersi liberamente. Infatti, il debito e gli interessi svalutati agirebbero positivamente sulla regolarità dei rimborsi con grande vantaggio per le banche e per la finanza.
Da quanto detto appare chiaramente indifferibile l’adozione di decisioni coraggiose, almeno a livello nazionale.