Conoscere, sapere, partecipare, rendersi conto di quello che accade nella realtà sono i fattori che sono sempre andati di pari passo, quasi in stretta relazione, con le forme del potere che si formavano in una società, anche nelle comunità primitive.
Marta Cartabia, vicepresidente della Corte costituzionale, parte con questa considerazione nel suo intervento al convegno pubblico dell’Umanitaria su “Popolo e democrazia”, che di fatto inaugura un ciclo di “momenti di partecipazione” di una scuola di formazione politica.
Quello che sottolinea Marta Cartabia è sostanzialmente quello che condivide anche Luciano Violante, che è stato magistrato ma anche deputato e presidente della Camera, quando sottolinea il valore della conoscenza e vede in questa nuova epoca di sconvolgimenti sociali, economici e politici, il rischio di una mancanza di anticorpi nella difesa della democrazia. Il rischio si evidenzia nella cosiddetta disintermediazione, cioè nella caduta del confronto democratico e nella carenza di una conoscenza che porti alla risoluzione dei problemi e dei conflitti che caratterizzano sempre la realtà sociale. Il rischio drammatico è la descrizione di una società che non conosce e non decide, una società che galleggia su perenni conflitti aperti e irrisolti.
Ancora più netto nel giudizio, all’apertura di questo ciclo di una scuola per la formazione politica, è Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la sussidiarietà, che guardando all’attuale situazione sociale e politica, scandisce con forza e passione “Bisogna ricominciare”, occorre ricominciare a mettersi insieme, come quando l’Italia, uscita da una guerra tragica, fu ricostruita, sviluppata con il contributo di persone di diverso orientamento ideologico, e diventò una grande potenza industriale, un Paese che aveva un preciso ruolo nel mondo e nello stesso tempo onorava una forza che nasceva nella coscienza di ciascuno: il desiderio, la voglia di migliorare, di seguire un percorso di emancipazione personale e collettiva.
Il titolo del convegno pubblico all’Umanitaria è partito dall’accostamento di “Popolo e democrazia”, che è ormai la base della civiltà occidentale, che garantisce al 40 per cento della popolazione mondiale, non alla maggioranza purtroppo, una vita dove si cercano di onorare giustizia sociale, equità, valore della persona, libertà individuale, un sistema di welfare e un’autosufficienza economica decorosa. E’, in fondo, l’insieme di quello che viene definito bene comune a cui tende, per sua naturale vocazione, la democrazia, nelle forme più consone al suo funzionamento di equilibro tra libertà e uguaglianza.
Quando questo equilibrio viene a mancare e, in più la società viene quasi sconvolta da una informazione e da una conoscenza confusa e disordinata, la democrazia va in crisi e viene sottoposta in modo ricorrente a critiche anche violente, ad accuse di inadeguatezza a risolvere i problemi e quindi ad attacchi che possono relegarla in un angolo, esautorarla e sostituirla con diverse forme di regimi autoritari o neo-autoritari che, oggi, sono di difficile definizione e comprensione.
Altre volte è stata esaminata la crisi della democrazia e sono sempre ritornati i discorsi che vanno di moda: dall’anti-parlamentarismo alle forme spesso vaghe di democrazia diretta, dall’inconsistenza del confronto dialettico alla necessità della decisione urgente.
Il passo della democrazia è invece scandito da una conquista continua e metodica. Luciano Violante pone l’accento su una riforma italiana del 1963, quando venne introdotta la scuola media unificata. “Che cosa vuol dire? Che non c’è più differenza di sapere in relazione alle classi sociali di appartenenza. Nel 1963 cominciò a venir fuori che il sapere non doveva dipendere dall’avere. Che sapere faceva parte dei diritti di cittadinanza e quindi non ci doveva essere una discriminazione di scelta”. Quella fu una conquista democratica, che si univa ad altre conquiste. Violante spiega che c’era un altro sapere, quello che veniva dalla partecipazione a partiti, sindacati, chiese che trasmettevano valori e comportamenti. Oggi si è caduti nella disintermediazione, perché quelle realtà non svolgono più quella funzione”.
Tutto questo porta, secondo Violante, anche alla cosiddetta “trappola della rappresentanza morale”. Un meccanismo tipico della schematizzazione informativa. Dice Violante: “La rappresentanza morale è pericolosissima sia per chi la fa sia per chi la riceve, perché spacca il Paese in due parti”. Alla mancanza di conoscenza, si aggiunge – appunto – il conflitto permanente.
Marta Cartabia è in sintonia con questa visione, perché insiste sul concetto di conoscenza nella difesa della democrazia. Dice la vicepresidente della Corte costituzionale: “La possibilità di formarsi una comprensione illuminata delle cose pubbliche non è solo una parte della definizione della democrazia. La comprensione illuminata delle cose pubbliche è una necessità, perché la democrazia possa funzionare”.
Ed è in questo modo, anche con una scuola di formazione politica, che si può cogliere un’occasione per “ricominciare”, come sostiene con passione Vittadini. Lo Stato che esce sconvolto e distrutto dall’ultima guerra tragica e perduta, viene ricostruito da persone che si mettono insieme o che concorrono, secondo le loro opinioni, a creare un bene comune condiviso. Sono i corpi sociali che creano l’Italia del dopoguerra e la portano ai traguardi del boom e dell’espansione economica e anche delle conquiste civili e sociali tipiche di una democrazia.
In un panorama sociale del tutto differente, oggi non c’è più il confronto e il dialogo tra forze politiche diverse, ma un amaro diffondersi del nichilismo, a cui occorre opporsi, ricostituendo appunto dei corpi sociali che sono scomparsi e che non svolgono più la grande funzione che hanno avuto.
La grande partita di rafforzare e difendere la democrazia nasce quindi da iniziative di conoscenza ben documentata e al di fuori sia dalla “repubblica della televisione”, come dalla “repubblica della rete”. Nasce dall’individuazione di nuovi corpi sociali dove con un mix di orientamenti si può sviluppare di nuovo il dibattito politico, il dialogo democratico che garantisce la partecipazione alla vita pubblica.
Non è una scommessa, ma un impegno che non si può eludere di fronte alla crisi complessiva che si sta vivendo.