Con un’altra lettera, sempre su Avvenire, Luigi Di Maio replica alla richiesta di incontro e riconoscimento del presidente ad interim Juan Guaidó: la distanza con la Lega è sempre più evidente, visto che il leader M5s annuncia «mia piena convinzione che il governo italiano debba evitare ogni ingerenza esterna e come ha già fatto rendersi disponibile come mediatore tra le parti per aiutare il Venezuela a tracciare un percorso comune di legittimazione politica che arrivi attraverso nuove elezioni, libere e monitorate da organismi internazionali». Insomma, né con Maduro né con Guaidó con la neutralità dell’Italia («per evitare una nuova Libia») che lascia ancora una volta a bocca asciutta le richieste disperate di Ue e Venezuela, specie dopo gli appelli di Mattarella e Salvini affinché il Premier Conte possa scegliere di seguire le altre potenze europee nello schieramento diplomatico. «Ritengo necessario – aggiunge Di Maio – che il Governo italiano mantenga una linea di neutralità e di non ingerenza sul processo che condurrà a tali elezioni, incoraggiando piuttosto un dialogo costruttivo tra le parti, anche con l’obiettivo di non alimentare un’ulteriore divisione a livello internazionale e le sue possibili conseguenze in termini di destabilizzazione del Paese». Il Ministro degli Esteri Moavero andrà in Uruguay per partecipare al vertice del gruppo di contatto internazionale, ma l’Italia sarà l’unica europea a partecipare senza aver riconosciuto ufficialmente Guaidó. Eppure Salvini giusto ieri aveva risposto affermativo alla richiesta di incontro a Roma con la delegazione dell’opposizione venezuelana anti-Maduro: fissato tutto per lunedì prossimo, lasciandoci così di fronte all’ennesimo “scontro” a distanza tra Lega e M5s.
GUAIDÓ, “SOGNO UN VENEZUELA LIBERO”
«L’Italia è un Paese fratello. In Venezuela tanti discendono dagli italiani. I vostri immigrati hanno contribuito al nostro sviluppo. Anche loro sono in attesa dei passi che intraprenderà nei prossimi giorni il governo. Sono sicuro che alla fine si deciderà a sostenere il legittimo presidente»: così oggi il presidente ad interim Juan Guaidó nell’intervista all’Avvenire dove si richiede, ancora una volta, un incontro con Salvini e Di Maio come già lanciato ieri tramite lettera personale inviata ai due vicepremier (e non al premier, già questo è una stranezza). Guaidó ricorda come la sua elezione non è stata affatto un colpo di stato contro Maduro, come i suoi detrattori vanno dicendo, «Le elezioni del 20 maggio sono state fraudolente. Per tale ragione, la carica presidenziale era vacante a partire dal 10 gennaio. La Carta prevede, dunque, che il leader dell’Assemblea nazionale assuma l’incarico, in via temporanea, di capo dello Stato. Ed è quel che ho fatto». Allontana l’idea (e non potrebbe fare altrimenti) di essere il fantoccio degli Usa di Trump e insiste sul dialogo per raggiungere alle elezioni libere e urgenti: «Chávez non mi è mai stato simpatico. Per una ragione fondamentale: nel 1992 ha cercato di conquistare il potere con la forza. Posso condividere le cause che l’avevano portato a inscenare il golpe. Sono, però, assolutamente contrario al metodo. Creo fermamente nella non violenza. I miei riferimenti sono i leader che hanno promosso cambiamenti senza spargimento di sangue. È quanto stiamo cercando di fare ora».
GUAIDÓ CHIEDE INCONTRO CON DI MAIO E SALVINI
“Se Maometto non va alla montagna…”: ecco, la montagna in questione è Juan Guaidó e nel caso tutto eccezionale fuor di metafora, i “Maometti” sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Il caos in Venezuela finora vede l’Italia come unica “big europea” a non aver ufficialmente riconosciuto il Presidente ad interim (proclamatosi tale tramite leggi democratiche e non come qualcuno afferma nel Movimento 5 Stelle “con un colpo di stato”, ndr). La situazione pende sempre di più verso una guerra civile con il dittatore-presidente Nicolas Maduro che anche oggi ha minacciato, senza molti giri di parole, di mettere in carcere tutti i leader “sovversivi” dell’opposizione (o quantomeno quelli che ancora non vi sono in galera, come appunto Guaidó): per questo motivo oggi il Presidente ad interim ha spedito una lettera personale ai due vicepremier del Governo italiano chiedendo un incontro a Roma «nel più breve tempo possibile con la nostra delegazione». L’obiettivo è chiaro, convincerli (più Di Maio che Salvini, va detto, dopo che il leader della Lega ha detto lunedì «non stiamo facendo una bella figura, subito destituire il dittatore Maduro») che l’appoggio a Guaidó significa appoggio per elezioni libere ed immediate: «ho scritto a Salvini e Di Maio chiedendo un incontro urgente finalizzato ad uno scambio di opinioni sulla decisiva transizione che stiamo vivendo in Venezuela. In particolare vorremmo poterLe rappresentare la necessità che in Venezuela si possa giungere in tempi rapidi, e grazie al sostegno della Comunità internazionale, a libere elezioni democratiche». L’Italia viene vista come crocevia importante per due ordini di motivi: in primis, rappresenta una delle comunità più numerose all’interno del Venezuela e una presa di posizione decisa del Governo Conte potrebbe spostare e non poco il sostegno alla causa democratica verso nuove elezioni libere. In secondo luogo, l’Italia è l’unico grande Paese europeo (con tutto il rispetto di Bulgaria, Portogallo, Irlanda e Romania) a non aver preso una posizione chiara: con il “Sì” del M5s invece anche gli organi Ue potrebbero avere più mani libere nel sostenere la causa di dialogo mantenendo una buona equidistanza dall’irruenza di Donald Trump.
LA MEDIAZIONE DELLA CHIESA, LA “MANO DURA” DI MADURO
È di stamattina l’approvazione dell’Assemblea nazionale venezuelana – di cui è Presidente proprio Guaidó – dell’ingresso nel Paese di diversi aiuti umanitari in arrivo da Colombia, Uruguay e Stati Uniti ma il regime di Maduro ha bloccato tutto il ponte al confine con lo stato colombiano, impedendo a medicinali, alimenti e generi di prima necessità di raggiungere le popolazioni venezuelane che da mesi vivono in uno stato di perenne povertà e insufficienza di viveri. «A Cúcuta non entrerà nessuno – ha detto Maduro stamattina – Cosa pensano di fare? Come se noi non avessimo alcuna forza militare su cui contare per difendere il Venezuela. Qui non entrerà nessun soldato invasore, da qualsiasi parte provenga. Ve lo assicuro io, in quanto comandante della forza armata nazionale bolivariana». Nel marasma generale, con la Russia e la Turchia che continuano invece a sostenere di contro la presidenza Maduro, è la Chiesa ad aver preso una posizione non da tutti accettata ma che tenta il più possibile di trovare una mediazione tra le parti: dopo che il Papa si è detto disposto ad incontrare le due fazioni («solo se sono disposti tutti e due»), la Conferenza dei vescovi di Caracas ha fatto sapere «Invitiamo tutta la popolazione a partecipare all’Eucaristia domenica 10 febbraio, e a pregare in tutte le chiese, nelle nostre case e comunità, chiedendo al Signore di concederci la pace, la riconciliazione, la libertà e la salute spirituale e corporale, e a realizzare creativamente gesti di fratellanza e solidarietà nelle diverse comunità». Non solo, per i vescovi cattolici l’impegno è tutto improntato ad evitare lo scoppiare della guerra e nello stesso tempo “combattere” per la libertà di un Paese: «invitiamo tutto il popolo venezuelano a dare il meglio di sé, ognuno nel suo ambito di lavoro e di azione perché con l’unità, la solidarietà e la responsabilità etica, con spirito disteso, cerchiamo il bene comune e lavoriamo senza sosta per la ricostruzione della democrazia e dell’intera nazione, evitando ogni spargimento di sangue, come ha detto Papa Francesco».