Legge di bilancio, migranti, accordo di Aquisgrana che rafforza l’asse renano, Tav, Venezuela, conti pubblici: l’elenco delle tensioni e delle frizioni con l’Europa è ancora lungo e articolato. Questo lento ma continuo divampare di scintille che rischiava di deflagrare in un incendio potrebbe avere spinto il Quirinale – con la decisione di nominare Savona alla Consob, affidando l’interim del ministero degli Affari europei allo stesso premier Conte – a dare una sterzata ai rapporti con la Ue? L’Italia si stava davvero isolando sempre più dal resto dell’Europa? E ora come e dove potrebbe cambiare la politica europea del nostro governo? “Mi sembra che ci sia in Europa – sottolinea Massimo D’Antoni, professore di scienza delle finanze all’Università di Siena – una generalizzata difficoltà a fare passi avanti verso una maggiore integrazione politica. Non possiamo però parlare di un’Italia che si isola rispetto a un’Europa che non gode in questo momento di buona salute. Mi sembra che ci siano tanti problemi su più fronti”.
Secondo lei, la nomina di Savona alla Consob e il contemporaneo incarico agli Affari europei affidato ad interim al premier Conte segnano un cambio di passo nella strategia italiana con la Ue?
Difficile dirlo adesso. Da un lato, la scelta di Savona sblocca una nomina su cui c’erano evidentemente dei veti; dall’altra, però, questa uscita di Savona dal governo, sul cui incarico c’era stato già un braccio di ferro fortissimo al momento dell’insediamento, può significare un allentamento della strategia offensiva nei confronti della Ue. Sarebbe un passaggio in continuità con quanto abbiamo già visto nella fase finale dell’approvazione della legge di bilancio, quando i precedenti toni aggressivi e pugnaci si sono poi attenuati fino ad arrivare a una posizione di compromesso al ribasso sul deficit. Ricordo, poi, che lo stesso Savona a un certo punto sembrava avere assunto un atteggiamento critico verso certi eccessi di aggressività del Governo, e aveva preso un po’ le distanze. Questo potrebbe essere per lui un modo di trarsi d’impaccio. Certo, se guardiamo a quello che aveva rappresentato l’entrata di Savona nel governo, il fatto che ora ne esca può essere ragionevolmente interpretato come una volontà di mantenere una linea più morbida.
E l’interim di Conte, che in questi mesi ha dimostrato doti di mediatore, che significato ha?
Non credo che il ruolo di un premier possa essere modificato dal fatto che prenda su di sé le deleghe dei rapporti con la Ue.
C’è chi ha letto questi spostamenti come un intervento del Quirinale per riequilibrare la posizione dell’Italia su posizioni meno aggressive e sovraniste. Che ne pensa?
Da tempo si parla di una divaricazione interna tra una linea, condivisa da Quirinale, Conte e Tria, più morbida, e una più aggressiva espressa dai vicepremier Salvini e Di Maio. Che l’uscita di Savona risponda a un maggior peso conquistato dalla linea conciliante è, come dicevo, un’interpretazione plausibile, ma non salterei a conclusioni troppo forti. L’interim può semplicemente indicare un rinvio in attesa di un rimpasto, in vista di una ridefinizione dei rapporti interni tra i partiti della coalizione, magari già dopo il voto regionale di domenica in Abruzzo.
Sui conti pubblici frizioni continue e pesanti con Bruxelles e i partner Ue; sui migranti abbiamo passato la patata bollente degli sbarchi alla Spagna; sul Venezuela siamo l’unica voce tra i big europei fuori dal coro non avendo riconosciuto Guaidó come presidente; con la Francia i rapporti sono ai ferri corti; sulla Tav rischiamo una scelta provinciale e isolazionista. In questi mesi l’Italia è veramente sempre più scivolata verso un isolamento dal resto della Ue?
Il segnale più netto di isolamento si è visto nell’accoglienza della legge di bilancio, ma rispetto a quel punto critico si è poi trovato un accomodamento. Comunque non ricollegherei tutti questi fatti a una singola strategia, mi sembrano piuttosto gli effetti di una competizione tra i due partiti della coalizione, intenti a piantare i propri paletti sul terreno politico. Infatti, mentre su alcuni temi, come i migranti, si notava una certa iniziativa e influenza della Lega, sulla Tav e soprattutto sulla linea improntata alla neutralità sul Venezuela mi sembra emerga maggiormente l’orientamento del M5s. Sono comunque temi a cui non darei eccessivo significato in termini di rapporti intra-europei. Anche perché sul Venezuela, in Europa, il veto italiano non ha impedito a tutti gli altri di fare come volevano.
La Commissione Ue oggi dovrebbe tagliare le stime di crescita dell’Italia dal +1,2% al +0,2%. Con il Pil in brusca frenata, abbiamo di nuovo bisogno dell’indulgenza altrui?
Vorrei ricordare che il motivo per cui quest’anno, e non i precedenti, si è negata all’Italia una certa flessibilità era legato al fatto che le previsioni validate dalla Ue, e su cui si basano tutte le politiche economiche, stimavano che nel 2019 l’Italia sarebbe andata sopra il proprio potenziale. In buona sostanza, il nostro Paese non poteva più rinviare le manovre procrastinate per anni e non poteva più rinviare il rispetto delle regole, perché nel 2019 non ci saremmo più trovati in una situazione di output gap negativo. Si diceva che l’Italia non avesse più attenuanti, visto che l’economia era prevista in espansione.
E ora?
In un momento in cui l’economia è addirittura in recessione, in parte forse anche per ragioni interne, ma soprattutto per una tendenza negativa generale, sono più che giustificabili un’ulteriore azione di stimolo e un rinvio delle politiche di austerità, che sono implicite nelle regole europee. E’ difficile che a questo punto la Ue ci chieda di correggere il bilancio in senso restrittivo, in un momento in cui l’economia sta andando male, perché vorrebbe dire chiederci di fare una manovra pro-ciclica, cioè una manovra che aggrava ulteriormente la situazione. Da questo punto di vista non so quanto l’Italia abbia bisogno di clemenza. Abbiamo ragioni molto forti per dire che c’è bisogno semmai di politiche fiscali più espansive.
E allora uno come Savona, che ha sempre spinto con forza perché si varassero politiche di investimento molto robuste, sarebbe stato l’uomo giusto al momento giusto se avesse continuato a occupare la poltrona di ministro degli Affari europei, non crede?
Certo. L’idea di sfruttare lo spazio fiscale per gli investimenti era la linea di Savona, e quindi sarebbe stato molto utile. Ma si potrebbe anche dire che, a questo punto, la sua presenza diventa superflua, visto che le circostanze gli stanno dando ragione…
Secondo il Fmi, il rischio Italia potrebbe contagiare tutta l’Europa…
E’ chiaro che la crescita bassa è il vero problema della sostenibilità del nostro debito più di quanto non lo sia la capacità di generare avanzi primari di bilancio, su cui siamo sempre stati diligenti. Detto questo, il problema diventa come aiutare l’Italia a crescere, in che senso questo possa determinare forme di contagio sinceramente mi sfugge, a meno che certo non si voglia alludere a una debolezza complessiva del sistema finanziario, che potrebbe essere investito da una generale crisi di sfiducia. Ma in quel caso il problema andrebbe ben oltre il debito italiano.
Francia e Germania hanno recentemente firmato il nuovo accordo di Aquisgrana, che rafforza l’asse Berlino-Parigi. Secondo lei, è un’intesa che può portare a una maggiore integrazione europea, sulla scia di un nocciolo duro che fa da traino, oppure siamo in presenza di un atto che può iniziare un processo di implosione dell’Unione?
C’è chi sostiene che il rafforzamento dell’asse renano vada a vantaggio dell’Europa, perché è stato storicamente il motore dell’unificazione. Chiaro, però, che questo accordo configura un’integrazione sempre più asimmetrica tra un centro, che in qualche modo detta legge o domina sull’applicazione effettiva delle leggi…
Come dimostra la reazione ieri alla bocciatura della fusione Alstom-Siemens da parte dell’Antitrust europeo…
Non a caso qualcuno ha fatto subito notare che, nel momento in cui l’accordo è stato bocciato perché non rispettava le regole, la risposta di Germania e Francia è stata: cambiamo le regole.
Quindi?
Un’integrazione costruita attorno all’accordo franco-tedesco accentuerebbe l’asimmetria del rapporto di forza, nella logica per cui le regole europee vengono applicate in funzione della forza politica dei singoli Stati, come si è già visto con il doppiopesismo applicato dalla Commissione Ue sui conti pubblici di Francia e Italia anche di recente. Aquisgrana è una spinta all’integrazione in cui però si rafforzerebbe la distinzione tra una core Europe e una periferia che fa da periferia in tutti i sensi.
E che cosa dovrebbe fare l’Italia?
Dal punto di vista dei nostri interessi Aquisgrana non è quello che avremmo voluto o che vorremmo. L’Italia dovrebbe chiarire che la propria disponibilità a rafforzare e promuovere ulteriori passi verso l’integrazione europea va solo in direzione di quel che dice l’articolo 11 della Costituzione, là dove recita che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Dovremmo richiamare gli altri Paesi al fatto che la Ue ha senso come progetto di integrazione solo se è un rapporto tra pari e non un rapporto che vede alcuni Paesi in posizione marginale.
Potremmo ritrovare questa forza?
In Europa in questo momento l’Italia non ha molta forza. Ma nemmeno il resto dell’Europa mi sembra in buona salute.
(Marco Biscella)