Chiamo mia figlia, appena rientrata a casa. Sto guardando la terza serata del festival di Sanremo, le dico guarda un po’ chi c’è alla tv. Lei entra e fa un grosso sorriso: “Piccolrovazzi!” come lo chiamavano loro a scuola, quando erano in classe insieme al liceo. Sì, perché Rovazzi era un piccolino molto timido e appartato, anche un po’ strano. Era un po’ la vittima di tutti, ma non se la prendeva. Poi un giorno non venne più scuola. Era morto il padre.
L’altra sera ospite del festival di Sanremo Rovazzi ha dato vita a tutto il suo campionario di stranezze, perché nessuno ha ancora capito chi sia questo “oggetto non identificato” capitato nel mondo dello spettacolo: cantante (non ne ha proprio le qualità), attore (sta muovendo i primi passi nel cinema). Un comico no, perché l’altra sera su palco dell’Ariston non sembrava proprio che recitasse. Goffo, impacciato (“mi sto cagando addosso) tra tanti e ripetitivi e banali “che emozione essere su questo palco” che si sentono da giorni e su cui ha scherzato anche Baglioni, evidentemente stufo di sentire questo tormentone così evidentemente finto, pura adulazione, uno ha avuto il coraggio di dire mi sto cagando sotto. Dopo poi che Rovazzi ha eseguito il suo successone che lo ha portato alla ribalta, l’orribile Andiamo a comandare, il direttore dell’orchestra in uno sketch formidabile, si è tolto la cuffia e gli ha detto “me me vado, questo è stato il punto più basso della mia carriera”. Era appunto uno sketch, ma Rovazzi era consapevole che era uno scherzo-reality. Ha continuato impacciato a muoversi per il palco, mentre recitava lo scherzo di aver rubato le chiavi del camerino di Baglioni dopo averlo chiuso dentro e di averne preso il posto come nuovo direttore de festival. E’ sceso a salutare la madre in prima fila mentre lei gli diceva “però preferivo Baglioni come conduttore”. Era di nuovo Piccolrovazzi. Mia figlia lo guardava con gli occhi grandi “Come è cresciuto” sorridendo di contentezza per lui. Così strano, così fuori luogo.
ROVAZZI A SANREMO, QUANDO IL DOLORE NON È ARRUFFIANARSI IL PUBBLICO
Prima di andarsene ha voluto salutare il padre morto anni fa. Per molti la frase che ha detto è sembrata un’altra battuta, ma invece era proprio vero e per questo Rovazzi si è commosso quasi alle lacrime. “In parte tutto questo è colpa tua” ha detto. Cioè che io sia qui a Sanremo in parte è colpa tua. Rovazzi alla morte del padre ha lasciato perdere scuola e studio, si è messo a vagare nel mondo dello spettacolo con qualche soldo ricevuto in eredità ha dato vita a una carriera folle ma di successo. Ecco quel “in parte tutto questo è colpa tua”.
“Volevo salutarti visto che l’ultima volta non ho fatto in tempo”. A rivederlo l’ultima volta prima della morte.
C’è bisogno di manifestare il proprio dolore personale in pubblico? In questo caso sì, anche perché non era una manifestazione di dolore, non era un arruffianarsi il pubblico come si è visto anche nel corso di quella stessa serata da parte di altri. Era qualcosa che il giovane cantante-attore probabilmente aveva nel cuore da quel giorno della morte. La morte del padre ha segnato il cambiamento della sua vita, come se una mano invisibile continuasse a accompagnarlo. Quel saluto gli è venuto fuori dalla gola probabilmente senza che lo avesse preparato. C’era un debito da saldare, c’era un dolore che rimane e c’era la riscoperta di un legame. E c’era il sentimento che nella vita niente accade per caso, anche le cose apparentemente più brutte. Mia figlia era colpita: “Che carino che è stato”. Le ho detto: “Perché non organizzate una reunion di classe e lo invitate”. “Sarebbe bello, forse ha bisogno di amici normali”.