A Roma i sindacati confederali sin sono ripresi piazza San Giovanni che era stata loro espropriata da Beppe Grillo un anno fa, alla viglia delle elezioni politiche. La manifestazione ha raccolto oltre centomila donne e uomini, espressione del lavoro dipendente e hanno avuto anche una certa comprensione da parte degli industriali. Nessun patto del lavoro, nessuna vocazione corporativa, ma certo l’espressione del malessere dell’Italia produttiva nel momento in cui l’industria manifatturiera, quella che in questi anni ha tenuto in piedi in Paese, mostra un vero e proprio crollo: meno 5,5% la caduta peggiore dal 2012. A piazza San Giovanni non è stato inviato nessun segnale da parte del Governo, né un messaggio né (tanto meno) una presenza.
Dalla parte opposta del Paese, si è riunito un gruppo di investitori infuriati per le perdite subite a causa della mala gestio della Banca Popolare di Vicenza. Da loro si sono recati i due vicepresidenti del consiglio Matteo Salvini e Luigi Di Maio, i quali hanno fatto a gara a cavalcare la rabbia degli investitori. Il primo ha promesso di decapitare la Banca d’Italia e la Consob, il secondo ha rincarato la dose con un “me ne frego” lanciato alla Unione europea la quale osa rimettere in discussione la scelta di risarcire le perdite subite, rilanciando come si suol dire l’azzardo morale.
I due eventi sono lo specchio dei contrasti profondi che attraversano l’Italia nel momento in cui il Paese sta cadendo nella terza recessione in dieci anni. Ma danno anche un’idea chiara di come governano la Lega e il Movimento 5 Stelle e a quali ceti sociali si rivolgono. Perché è evidente che finora ai lavoratori dipendenti non è stato offerto proprio nulla, mentre le risorse disponibili sono andate a chi il lavoro non ce l’ha e dovrebbe cercarlo e a chi lo vorrebbe lasciare; tutto prima della produzione e dopo la produzione, nulla in più per la produzione, la quale avrebbe bisogno di ridurre le imposte e il costo del lavoro, oltre che di sostenere gli investimenti. A tutto questo s’aggiunge la scelta di caricare sui contribuenti (composti per oltre l’80% dai lavoratori dipendenti ai quali le imposte vengono tolte mese dopo mese dalla busta paga) le perdite subite da chi ha acquistato azioni e obbligazioni bancarie. L’azzardo morale diventa così scelta immorale, oltre che iniqua.
Il Governo, continuando a incolpare gli altri (la Germania, la Francia, il Pd, la Banca d’Italia e quant’altro), rifiuta di prendere atto della realtà: negli ultimi due trimestri il prodotto lordo italiano è diminuito nel suo insieme dello 0,36% interrompendo un ciclo ascendente che durava da 14 mesi e che ha prodotto una crescita cumulata del 4,7%. Comunque si voglia girare la frittata, questo è un dato di fatto. L’altro punto fermo è che sia nel terzo sia nel quarto trimestre la discesa è dovuta alla domanda interna: è vero che quella estera è rallentata, ma il suo contributo alla domanda complessiva è stato ancora positivo. Può darsi che in questo trimestre diventi negativo e allora saranno guai ancora peggiori, ma finora non è stato così al contrario da quel che sostiene il Governo.
A smentire ancora più clamorosamente la versione ufficiale c’è un altro dato di fatto: i 14 mesi di ripresa sono stati sostenuti da un ottimo risultato delle esportazioni, ma a far da locomotiva sono stati i consumi (anche se non ancora sufficienti) e gli investimenti in macchinari sostenuti anche dagli incentivi pubblici (industria 4.0, insomma, ha funzionato). Anche l’occupazione ha reagito positivamente, in particolare dopo l’introduzione del Jobs Act, ma non solo: se la flessibilità può essere considerata un acceleratore, è pur vero che il mercato del lavoro si rimette in movimento nel momento in cui sale la domanda (consumi più investimenti) e, di conseguenza, la produzione.
Gettando uno sguardo alla curva della crescita, emerge con chiarezza che la svolta negativa si colloca dopo il secondo trimestre dell’anno, in coincidenza con il mutare delle aspettative. Gli indici di fiducia delle imprese e dei consumatori calano, s’impenna lo spread e si deteriora il mercato monetario nonostante il sostegno della Bce, la borsa scende, le banche ballano sotto i colpi delle pessime quotazioni azionarie e della doppia zavorra: titoli di stato e crediti marci. Tutto questo è evidente, può negarlo solo chi vuol mettere la testa sotto la sabbia o, peggio, imbrogliare gli elettori. L’attacco alla Banca d’Italia, da questo punto di vista, o è un altro pezzo di questa campagna di distrazione di massa oppure è un pezzo del piano B. In ogni caso non fa che peggiorare fiducia e aspettative non da parte degli investitori esteri, ma degli italiani. L’indice della produzione e del prodotto lordo è uno strumento statistico ben più accurato e consistente dei sondaggi.
È possibile a questo punto riprendere in mano la situazione, fermarsi prima di scivolare inesorabilmente lungo il piano inclinato? L’intervista di Giovanni Tria alla Stampa mostra la sua preoccupazione, ma non offre indicazioni chiare. Il ministro dell’Economia parla di sbloccare i cantieri, ma perché non l’ha ancora fatto? Perché il M5S non lo vuole, non è che voglia le piccole opere e non le grandi, come dice la sua propaganda, no, provate a cominciare davvero un lavoro da qualche parte del Paese e vedrete che cosa succede. Emblematica è anche la vicenda delle trivelle, cioè delle ricerche petrolifere. In questo caso il popolo si è già espresso: il referendum dei No Triv è fallito, ma i commissari del popolo una volta al Governo hanno deciso di infischiarsene e fare quello che vogliono loro, bloccando le trivelle.
Per evitare il tracollo che verrà non appena anche la domanda estera in discesa avrà fatto sentire i suoi effetti, ci sarebbe bisogno che dentro il Governo gli esponenti più responsabili prendano in mano il volante di questo autobus fuori controllo. Ci sono ministri che abbiano voglia e capacità di farlo? Si è parlato più volte di cabina di regia, ma non si vedono i registi e quanto alla cabina chi dovrebbe farne parte? Tria le cui sommesse lamentele vengono sbeffeggiate? Moavero che è stato scalzato sia sul Venezuela che sulla Francia? Giorgetti che recita la parte del poliziotto buono azzittito dallo sceriffo (pardon il capitano) cattivo? E Conte che, quando timidamente ha cercato di distinguersi (per esempio sui rifugiati) è stato subito azzittito?
C’è chi dice che tutto questo finirà con le elezioni europee. Davvero? E se invece cominciasse proprio allora la vera resa dei conti, con una lunga e devastante campagna elettorale, in piena recessione? Lo spettro del 2011 è sempre in agguato.