Il nuovo testo dell’art. 11 della Costituzione, quella approvata nel 2001, attribuisce alla competenza concorrente delle Regioni la materia della “tutela e sicurezza del lavoro”, nella quale devono considerarsi rientranti le politiche attive del lavoro, il mercato del lavoro, i servizi per l’impiego, le agenzie di mediazione e di lavoro interinale, gli ammortizzatori sociali e gli incentivi all’occupazione, nonché l’attività di controllo e di vigilanza. La stessa Corte Costituzionale, in questo contesto, ha ribadito già oltre un decennio fa che debba riconoscersi alla materia “tutela e sicurezza del lavoro” la disciplina dei servizi per l’impiego, in specie quella del collocamento.
La Consulta fissava, in tale sede, il criterio secondo cui spetta allo Stato la determinazione dei principi fondamentali e alle Regioni l’emanazione delle altre norme comunemente definite di dettagli, aggiungendo che essendo i servizi per l’impiego predisposti alla soddisfazione del diritto sociale al lavoro, possono verificarsi, in questa materia, i presupposti per l’esercizio della potestà statale di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
La riforma Renzi-Boschi si proponeva di ricentralizzare il complesso tema delle politiche attive e del mercato del lavoro. La bocciatura del referendum ha, tuttavia, mantenuto lo status quo e in questa dinamica si inserisce il recente contrasto tra Regioni e Ministero con riferimento all’implementazione del reddito di cittadinanza, specialmente per quanto attiene le modalità di reclutamento e il ruolo dei tutor “navigator”. Per le Regioni, infatti, il principale nodo da sciogliere per un parere positivo al provvedimento al vaglio del Senato è quello del rafforzamento dei Centri per l’impiego e, soprattutto, dell’assunzione dei navigator.
L’auspicio è che, alla fine, nelle prossime settimane si trovi un buon accordo sostenibile politicamente e rispettoso del dettato costituzionale sul principio della sana e leale collaborazione dei diversi livelli istituzionali. L’interesse comune, in ultima istanza, dovrebbe prevalere dando la possibilità ad alcuni milioni di italiani di godere di un sostegno ulteriore per uscire dalla loro condizione di indigenza e povertà.
Le correzioni utili e necessarie al buon funzionamento della misura potranno essere, in questa prospettiva, apportate al provvedimento evitando però un inutile e dannoso scontro istituzionale.