Ieri la Borsa italiana ha avuto una giornata di gloria e il Btp che fino a mezzogiorno non si sentiva molto bene ha recuperato tutte le perdite. A dare il via al rally sono state le parole di Benoît Cœuré secondo cui la Bce sta valutando un nuovo programma di finanziamenti per il settore bancario (Tltro). L’andamento economico finanziario dell’eurozona sta peggiorando rapidamente; gli indici di produzione industriale cominciano ad accusare il rallentamento globale e, soprattutto, rimangono sacche di criticità finanziaria importanti. In Italia l’economia è in difficoltà dopo due recessioni in dieci anni che hanno provato sia il bilancio statale che quello delle banche; in Germania abbiamo Deutsche Bank, poi abbiamo i campanelli d’allarme di Santander degli ultimissimi giorni con la notizia “clamorosa”, almeno tra gli investitori, del bond non richiamato. In questo contesto se la Bce non immette liquidità nel sistema, soprattutto bancario, il rischio è che salti tutto o che le tensioni diventino difficili da gestire. Ma non è solo la Bce perché sono le banche centrali globali, a partire dalla Fed, che dopo aver assistito all’andamento dei mercati del quarto trimestre hanno deciso di cambiare rotta.
Quello che ci dovrebbe interessare è a che condizioni e in che contesto avvenga il nuovo intervento della Bce. La risposta alla crisi del 2008, a livello globale, con un esperimento di immissione di liquidità senza precedenti non ha guarito l’economia, nemmeno quella americana, e in più ha aumentato le disuguaglianze perché di queste politiche ha beneficiato in modo molto più che proporzionale chi era più vicino “alle borse” o chi aveva una rendita finanziaria. Per gli altri molto poco e in più un’inflazione cattiva. In Europa la banca centrale ha agito più tardi e peggio delle altre e oggi difende un assetto, “l’euro”, che ha al suo interno enormi squilibri economico-politici non risolti. Sullo sfondo rimane l’elefante dello squilibrio commerciale americano finanziato a debito.
Se la liquidità concessa dalla Bce per salvare banche e Stato italiano ha come contropartita un giro di austerity o una patrimoniale, e le indicazioni in questo senso si moltiplicano, il circolo vizioso, quello che abbiamo sperimentato nel 2012, non si spezza. Non si risolvono i problemi di governance dell’Europa, non si risolve il problema di una valuta comune per regioni come Grecia o Calabria e altre come la Baviera, senza meccanismi di redistribuzione e con un’applicazione delle regole singolare come impariamo anche in queste settimane leggendo le non reazioni alla finanziaria spagnola e a quello che contiene come spesa corrente.
Le politiche di immissioni di liquidità senza una riforma dell’euro e dell’Europa e senza politica industriale non faranno altro che amplificare i fenomeni a cui abbiamo assistito nell’ultimo decennio: un continente che si condanna al nanismo politico nelle relazioni internazionali rimanendo solo un grande esportatore, e per questo ricattabile, oltretutto a vantaggio di una, o al massimo due nazioni; una crisi che acuisce la competizione interna e un aumento degli squilibri sociali tra una classe media sempre più ai margini e un gruppo di persone, tendenzialmente benestanti e tendenzialmente in alcune grandi città, che soffre molto di meno o addirittura ne beneficia. Questi sono gli squilibri che hanno prodotto i gilet gialli o l’emergere dei partiti populisti nel resto d’Europa.
Possiamo discutere all’infinito, ed è utile, di chi soffi sulla cenere del malcontento o di come quel malcontento si traduca politicamente, ma alla fine rimane la cenere incandescente su cui basta soffiare. In Italia, questi squilibri si declinano in modo particolare in una divaricazione sempre più evidente tra nord, esportatore e ancorato economicamente alla Germania, e sud, condannato anche dalla sua inefficienza cronica.
Oggi quindi registriamo il ritorno in grande stile delle banche centrali e da ultima, come sempre e come nel 2007/2008, della Bce spaventate dalla piega che ha preso l’economia e in Europa anche dagli effetti della folle e pazzesca stagione dell’austerity; una stagione imposta dalla Germania al resto del continente con l’esclusione della Francia per continuare a tenere in vita un sistema che ha, oggettivamente, fatto la fortuna dei tedeschi.
In questo contesto la Bce salva il sistema europeo, da Deutsche Bank a Santander, e in Italia lo salva, con i suoi corollari di austerity, distruzione della capacità produttiva e deflazione, perché ha un potere incontrastabile che è quello che deriva dall’essere l’unica entità che può emettere moneta e che può evitare il collasso; la lira, o il franco, non c’è più e lo Stato italiano non decide più la sua politica economica. Forse, quindi, il sistema passerà indenne anche questa crisi, ma gli effetti sono già adesso prevedibilissimi; ci chiediamo se questa sia una soluzione o solo un rinvio che anestetizza tutti e ci evita di porre rimedio e riformare, ma per davvero, un sistema che non funziona in quanto tale e sta producendo livelli di tensione e povertà che non si vedevano da qualche decennio. Con l’Europa sempre più fragile e facile da spezzare.
Nessuno si stupisca se tra cinque anni i populisti di oggi ci sembreranno dei disturbatori da assemblea di condominio.