Su Repubblica di sabato – il quarto numero firmato dal neo-direttore Carlo Verdelli – si potevano leggere tre diverse opinioni sul caso di Roberto Formigoni, incarcerato venerdì. Il primo – in una pagina di primo piano nazionale – era un corsivo firmato da Pietro Colaprico, un inviato senior del quotidiano: giudiziarista veterano della redazione milanese fin dai tempi di Mani Pulite. Nelle ultime righe Colaprico scrive: “Formigoni, al quale non abbiamo mai fatto sconti, è stato un numero primo della politica; ora che è in carcere resta un numero primo della peggiore giustizia, quella ‘esemplare'”.
Poche pagine oltre, sull’apertura della cronaca milanese del quotidiano campeggiava questo titolo: “Sala attacca il modello sanità: spartizione in stile Formigoni”. All’interno era invece in evidenza un intervento di Franco Monaco, ex presidente dell’Azione Cattolica milanese ed ex senatore Pd. Un commento problematico, contorto e obliquo sui “rapporti fra fede e politica”. “Quante volte abbiamo assistito alla dichiarata spartizione dei vertici delle strutture sanitarie lombarde fra partiti di governo, correnti e uomini legati a Cl?”.
Gli sviluppi politici nel centro-sinistra – alla vigilia delle primarie del Pd – sono in piena accelerazione con uno specifico momento ambrosiano. Qui l’ex sindaco Giuliano Pisapia – secondo alcune indiscrezioni – potrebbe ritornare di scena con l’iniziativa “Campo democratico”, mentre il successore Sala – tendenzialmente orientato al tentativo centrista di Carlo Calenda, dopo il proscioglimento di lunga gestazione per gli appalti Expo – appare sempre in affanno sull’ala sinistra (“in periferia”) per le politiche municipali pro-business unite a una forte rigidità sulla fiscalità locale.
Repubblica, nel frattempo, sotto la nuova direzione di un giornalista milanese, ha informato in tempo reale, in modo completo e mettendo in gioco lo stesso quotidiano, delle linee di frattura profonde che attraversano il centrosinistra milanese. Ancora incapace di fare i conti con il “caso Formigoni” dopo 18 anni di presidenza della Regione Lombardia e sei di cursus giudiziario di rito ambrosiano. Un rito come minimo invecchiato – se non peggio -, osserva severamente sulla soglia del carcere di Bollate uno dei giornalisti milanesi che l’ha conosciuto e raccontato meglio.