C’è un solo sconfitto certo delle elezioni regionali sarde, ed è il Movimento 5 Stelle. Per il resto, il bilancio esatto potrà essere fatto solo quando anche l’ultima e la più sperduta sezione sarà stata scrutinata. Se fossimo in America l’espressione utilizzata dai sondaggisti sarebbe quello di “too close to call”. E l’elemento chiave è il voto disgiunto.
Vola cioè il centrodestra, ma non il suo candidato, vola il candidato del centrosinistra molto più delle sue liste. E l’effetto potrebbe essere paradossale e clamoroso: con un recupero straordinario il sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, ha affiancato il portabandiera dei moderati Christian Solinas (in vantaggio di solo un punto e mezzo negli exit polls) e potrebbe superarlo sul filo di lana. E a quel punto poco conterebbe che le liste di centrodestra abbiano raggranellato dai 10 ai 14 punti in più del centrosinistra.
Comunque andrà la conta, il risultato sardo è destinato a pesare assai più di quello abruzzese un po’ per tutti. Per i grillini sarà l’amara constatazione dell’assoluta incapacità di essere competitivi a livello locale. Un anno fa in Sardegna avevano toccato un fantasmagorico 42,5%, il che significa aver perso due elettori su tre. E questo dopo aver preso batoste a ripetizione in Friuli-Venezia Giulia, in Molise e in Abruzzo. Colpa probabilmente di una molteplicità di fattori, dalle aspettative deluse a tattiche elettorali inadeguate, niente alleanze, laddove centrosinistra e centrodestra moltiplicano le liste e i candidati consiglieri, elemento fondamentale quando si vota con le preferenze. In Sardegna i grillini avevano 60 candidati, contro 1320 delle altre liste.
Tra un mese si voterà in Basilicata, dove alle politiche la percentuale di M5s era stata addirittura del 44,3%. Se sarà un altro schiaffone, si creeranno tutte le premesse perché il 26 maggio le europee si trasformino in una Waterloo in grado di minare sia il governo, sia la leadership di Di Maio, se il capo olistico del Movimento non sarà in grado di inventarsi qualcosa per correre ai ripari. La prima mensilità del reddito di cittadinanza, che sarà erogata a fine aprile, potrebbe non bastare a fermare il declino.
Anche l’altro socio di governo avrà di che pensare. Salvini ha battuto la Sardegna palmo a palmo, ma ha raccolto meno di quanto sperato. E’ stato addirittura accusato di aver oscurato il candidato, il leader del Partito Sardo d’Azione Christian Solinas, ci ha messo la faccia nella vertenza dei pastori, e ha dovuto ammettere di aver sbagliato promettendo una soluzione in 48 ore. Dalle urne è arrivata la sentenza che il candidato non era poi così amato, e anche la sua Lega non vola come le piazze piene avrebbero fatto pensare. Per la prima volta il leader della Lega sembra chiamato a fare i conti con la realtà dei fatti e delle promesse che vanno mantenute. Da solo il blocco degli sbarchi dei clandestini non può bastare in eterno. Per di più i dati di lista parlano a Salvini di un centrodestra in salute, che guadagna addirittura una decina di punti rispetto alle politiche. Quell’alleanza che il leader leghista vede come un letto di Procuste e di cui, se potesse, farebbe volentieri a meno, di Berlusconi in particolare. Al Cavaliere e alla Meloni dovrà dare risposte, che diverranno ancora più necessarie dopo le europee, anche in virtù del peggioramento dei numeri dell’economia.
La coalizione è invece la strada che le elezioni sarde indicano al Pd per uscire dalla sua lunghissima crisi: coalizione ampia, come in Abruzzo, e candidati di qualità e legati al territorio. Come Zedda, come Legnini. Meglio quindi un coro fatto di tante voci differenti che non i listoni, anche perché in Italia le sommatorie in politica danno sempre un risultato inferiore ai singoli addendi. Il futuro candidato del Pd, che sarà eletto fra due settimane ne dovrà tenere conto.
Tutto da comprendere è se i 5 Stelle abbiano imboccato il viale del tramonto della loro esperienza politica, ma di sicuro c’è un dato prospettico che gli ultimi due voti regionali hanno riproposto: nelle consultazioni amministrative lo scontro è tornato a essere bipolare fra centrodestra e centro sinistra. Con una rilevante differenza però: che l’area moderata un leader ce l’ha, uno che si è guadagnato i galloni sul campo. L’area progressista, invece, un leader lo sta ancora cercando, e non è certo che le primarie del 3 marzo basteranno.