La Commissione europea, attraverso il Country Report sull’Italia, ha espresso nuova preoccupazione sull’andamento della nostra economia e dei nostri conti pubblici. Sia Valdis Dombrovskis che Pierre Moscovici, durante la conferenza stampa tenutasi ieri a Bruxelles, hanno in particolare puntato il dito sull’elevato debito pubblico e sulla scarsa crescita del Pil. Insieme a Grecia e Cipro, l’Italia è quindi tra i paesi membri che mostrano squilibri economici “eccessivi”. Bruxelles continuerà a monitorare la situazione del nostro Paese e farà una nuova valutazione in primavera, annunciando poi possibili misure necessarie. «Questo Country Report – ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – rispecchia una conoscenza più accurata del solito della nostra situazione economica, ma mi sembra anche che contenga dei sintomi di quello che si potrebbe definire un disturbo bipolare».
In che senso Professore?
Nel senso che da un lato vengono fatte analisi e considerazioni corrette e condivisibili, ma emerge tra le righe un discorso del tipo: cavatevela da soli. Il che non sarebbe neanche sbagliato se non fosse che dal 2011 facciamo esattamente quello che da Bruxelles ci chiedono di fare. Per la Commissione la priorità per il Paese rimane il debito pubblico a prescindere dal contesto.
Qual è secondo lei la priorità del Paese?
La produttività totale dei fattori, cioè lavoro e capitale, è cresciuta solo della metà rispetto alla media europea. Questo è davvero un problema. L’utilizzo efficiente delle risorse, a partire dal lavoro, con il complemento necessario di una dotazione di capitale produttivo, è la strada per riprendere a crescere. Dobbiamo fare investimenti buoni, pubblici e privati. Questo è quello che in altri paesi europei ha funzionato benissimo. È chiaro che se ciò non avviene è anche per negligenze nostre, visto che non riusciamo a utilizzare i fondi europei disponibili.
La Commissione europea sembra anche evidenziare la mancanza di riforme che sarebbero invece necessarie da parte del nostro Paese. Cosa ne pensa?
Qualche riforma l’Italia l’ha fatta, il problema è che quella più importante degli ultimi anni, relativa al mercato del lavoro, si è rivelata un disastro: ha creato solamente precarietà e non ha diminuito la disoccupazione, specie giovanile. La visione europea assomiglia molto a quella che una volta veniva chiamato Washington Consensus.
Ovvero?
Un insieme di direttive e indicazioni piuttosto standard che veniva dato ai paesi in via di sviluppo da parte delle istituzioni di Washington come il Fmi. Il problema è che ha prodotto solamente grandi disastri. Le riforme che si possono fare sono tante ed è chiaro che ne serve ad esempio una nella giustizia per accorciarne i tempi, ma si tratta di provvedimenti che impiegano molto tempo per mostrare qualche effetto tangibile.
Più che altro sembra che Bruxelles non abbia gradito la riforma delle pensioni con Quota 100…
In effetti nel rapporto si parla di un passo indietro sul fronte previdenziale. Ma non si può dimenticare che chi va in pensione oggi prenderà un assegno in base ai contributi che ha versato. Non c’è quindi un’evidenza così forte del fatto che ciò abbia effetti disastrosi. Quello che si può discutere semmai di Quota 100 è l’effetto sostituzione nel mercato del lavoro, specie in una situazione di rallentamento economico. Mi lasci dire che in questo senso sono rimasto colpito da un’importante indicatore.
Quale?
La dinamica dei tassi di inflazione: restiamo sotto l’1% quando il target della Bce è del 2%. E poi non si può dimenticare che la locomotiva che trainava un po’ di paesi si è inceppata, perché l’incidenza stratosferica delle esportazioni sul Pil tedesco che finora era stata una manna dal cielo, adesso, in un momento di tensioni geopolitiche, sta portando a una frenata per tutti. È chiaro però che la Germania, grazie anche agli stabilizzatori automatici, potrebbe uscirne fuori senza traumi, a differenza di altri.
La Commissione europea ha parlato dell’alto livello del nostro debito pubblico e qualche giorno fa Clemens Fuest, direttore dell’istituto Ifo, ha evidenziato che per ridurlo dovremmo realizzare un avanzo primario intorno al 4% del Pil per i prossimi 10-15 anni: un livello altissimo. Per questo ha detto che forse, se ci sarà una recessione in Europa, bisognerà cominciare a mettere sul tavolo europeo il tema della ristrutturazione del nostro debito. Cosa ne pensa?
Io credo nell’idea di Europa, ma penso altresì che occorra stare attenti a non perdere una visione autenticamente europea: se non si sta insieme quando c’è una crisi, quando lo si fa? L’Italia è un Paese stremato e se anche non si arrivasse formalmente a ripetere quanto accaduto con la Grecia, ma ci si comportasse allo stesso modo riguardo l’idea di ristrutturazione del debito, non è che cambierebbe molto: avremmo un disastro. Oggi noi abbiamo un debito pubblico al 132% del Pil e lo considero un miracolo.
Perché?
Perché data la situazione di stagnazione in cui stiamo vivendo dal 2011 mantenere il rapporto stabile a questi livelli è qualcosa di miracoloso. Visto che il rapporto debito/Pil non è esploso, diamoci una chance, perché se l’economia cresce il debito su Pil rientra. Parlare di ristrutturazione del debito quando il debito si è fermato lì, con una crescita sostanzialmente anemica, credo che sia una manifestazione di poco senso di responsabilità. Dall’Europa sarebbe più corretto che ci venisse posta un’altra questione: dove sono finiti gli imprenditori, dov’è finita la capacità di competere sulla qualità piuttosto che sul costo del lavoro? Questo è l’appunto che ci dovrebbero fare e che dovremmo farci anche noi stessi.
(Lorenzo Torrisi)