Ascoltare Nicola Sanese, il capo della struttura organizzativa della Regione Lombardia, quando Roberto Formigoni ne era il Presidente, provoca una certa malinconia. E occorre specificarne il perché, il significato di questa malinconia. È inutile nasconderlo: oggi purtroppo si vive in un contesto dove la capacità di realizzare e la visione complessiva dello sviluppo sociale non si vedono più, non si avvertono più, nemmeno nella forma di moda, quella appunto, della cosiddetta “percezione”. Di fatto, Sanese ha fatto semplicemente una testimonianza alla prima giornata della scuola di formazione politica promossa dalla Fondazione per la sussidiarietà, dalla Società Umanitaria e da altre associazioni che si caratterizzano per il loro impegno civile. Ma questa testimonianza ha riassunto un impegno esemplare con cui non si fanno più i conti.
La scelta di invitare Nicola Sanese a portare una testimonianza è stata molto azzeccata, perché in genere la politica viene confinata tra grande teorie che sconfinano in diversi campi, ma invece l’essenza della politica è sempre concentrata e fissata da quella sintesi quasi esaltante che si chiamava “pensiero e azione”. La malinconia, in questo caso è di carattere speciale, si associa alla nostalgia ma anche al ringraziamento per quello che è stato ottenuto da un incessante impegno riformatore, realizzato anno dopo anno, soprattutto nell’ambito delle Regioni, che sono nate tardi e che all’inizio avevano anche un po’ deluso gli italiani.
Sanese pensava di avere chiuso con la politica nel 1995. Era già stato parlamentare, aveva avuto esperienze governative con Craxi, De Mita, Fanfani. Poteva ritenersi un uomo appagato e un politico soddisfatto per l’ottimo curriculum. Ma proprio il 27 giugno di quell’anno riceve una telefonata da Roberto Formigoni, diventato presidente della Regione “motore dell’Italia”, della Lombardia. Oggi Sanese spiega che fece subito un patto: “Formigoni sarebbe stato il leader politico, io mi sarei occupato dell’attuazione delle scelte politiche”. Proprio l’esatta sintesi di “pensiero e azione”, di visione politica e di capacità realizzativa.
Non facciamo solo i paragoni con l’attualità, ma pensiamo soprattutto a quello che muoveva Sanese nell’accettare, per ben 18 anni, il nuovo incarico che gli veniva offerto. Sanese precisa: “Vi era una forte condivisione ideale da parte di chi si impegnò in quella avventura, altrimenti non ci saremmo potuti nemmeno immaginare di fare quello che abbiamo fatto. C’era un’esperienza ideale di fede comune, ma condivise anche con persone non credenti, ma che credevano nel rispetto della persona”. Precisa ancora Nicola Sanese: “Ho ritrovato in una parte dell’Appello ai liberi e forti di Don Sturzo, seppure in un altro contesto storico, quello che abbiamo provato a realizzare”. In sostanza una politica riformatrice, che riesce a superare differenze, a posporre quello che divide a quello che unisce e a creare uno Stato che non è più accentratore, ma che si limita a regolare i poteri, le attività civiche e quelle individuali. Insomma, uno Stato veramente popolare che riconosce i limiti della sua attività e che allo stesso tempo rispetta i nuclei e gli organismi naturali: la famiglia, le classi e i comuni.
Il racconto di Sanese, durante la sua testimonianza, diventa avvincente nella sua semplicità: “Siamo partiti costruendo un sistema, attraverso la condivisione di specifici impegni, relazionale organico nel quale istituzioni, autonomie funzionali e governo regionale si confrontavano e cooperavano per raggiungere i medesimi obiettivi secondo le responsabilità e le competenze di ciascuno”. Tutto questo è stato adattato al campo scolastico, a quello dell’istruzione in generale, a quello della formazione professionale. E poi, naturalmente, al campo sanitario e anche a quello del sostegno alle piccole e medie imprese.
Con questa volontà politica collaborativa, si sono verificati anche errori in diciotto anni di attività politica e amministrativa. Ma quello che lascia stupefatti, in confronto alle beghe politiche quotidiane, è stato il grande accordo che c’era, si vedeva. Un grande accordo che si evince dalla parole dello stesso Sanese: un grande accordo tra politici e amministratori. In più si resta stupefatti anche per i risultati ottenuti.
C’è da stupirsi perché la Lombardia è diventata, ancora di più che in passato, la “regione guida”, la regione motore” dell’Italia? C’è da stupirsi perché la sanità lombarda è una delle eccellenze mondiali indiscutibili? Che cosa salta fuori, in conclusione, da questo racconto, da questi ricordi e dalle inevitabili riflessioni? Che la politica ha un suo primato che va rispettato realmente, che non va confusa con la pura propaganda elettorale, che richiede innanzitutto passione. E se poi ti offre forme di potere, quella stessa politica ricca di passione riesce sempre a diventare quello che diceva papa Paolo VI, il cardinal Montini: la più alta forma di carità.
In fondo Sanese ha raccontato la storia di diciotto anni di vita come capo della struttura organizzativa della Regione Lombardia. Ma in questo racconto c’è una tale ricchezza di esperienza umana che dovrebbe ricondurre tanti all’azione politica, al riformismo politico, alla politica delle piccole cose che riesce sempre a creare delle grandi realtà.