Il luogo dove l’umanità dimentica se stessa da mercoledì prossimo sarà, forse, abbattuto. Le ruspe tanto invocate dal ministro degli Interni, Matteo Salvini, arriveranno invece su ordine del sindaco Andrea Tripodi, docente di 67 anni, in pensione e vecchio militante del Pci. Tripodi ha reiterato una sua precedente ordinanza, del 16 ottobre 2017, rimasta sostanzialmente inapplicata.
“Visto che la baraccopoli – si afferma nell’ordinanza – risulta nuovamente ‘edificata’ e popolata abusivamente; che permangono ed anzi risultano peggiorate le condizioni di vivibilità dell’area interessata dalla vecchia tendopoli (baraccopoli); che negli ultimi 14 mesi si sono ripetuti gravi incendi, di natura dolosa o più probabilmente causati da stufe e accessori di fortuna utilizzati per riscaldarsi, che hanno causato la morte di tre ospiti e aggravato le condizioni di insalubrità dell’intera area, contribuendo ad esasperare gli animi degli immigrati che gravitano; al fine di scongiurare gravi danni alla salute ed all’incolumità pubblica, è necessario ed urgente rendere l’area libera da persone e cose per poter consentire l’immediata rimozione dei rifiuti presenti, l’abbattimento delle vecchie tende e baracche e la successiva bonifica e sanificazione dell’area”.
Quella del sindaco è una decisione formalmente motivata dalla “necessità di scongiurare gravi danni alla salute ed all’incolumità pubblica” da cui discende la necessità e l’urgenza di “rendere l’area libera da persone e cose per poter consentire l’immediata rimozione dei rifiuti presenti, l’abbattimento delle vecchie tende e baracche e la successiva bonifica e sanificazione dell’area”. L’ordinanza, tradotta in francese, inglese e arabo, è stata notificata a quanti vivono nella tendopoli e nell’adiacente baraccopoli. Di alcuni dei circa 2.000 migranti stimati all’inizio di quest’anno, la prefettura di Reggio Calabria aveva già iniziato il trasferimento nei Cas e negli Sprar della provincia. Circa 300 migranti hanno già trovato sistemazione nella nuova tendopoli allestita a spese della Regione Calabria sempre a San Ferdinando, dove ingressi e uscite sarebbero costantemente fotografati per motivi di sicurezza. Pochi altri hanno trovato sistemazioni di fortuna in alloggi in affitto (pochissimi, perché nessuno fitta ai “neri” da quelle parti se non in case periferiche abbandonate e ad alti prezzi); qualcun altro è andato ad incrementare i mini-ghetti nati in capannoni in disuso.
San Ferdinando è confinante con Rosarno ed è il comune sul cui territorio insiste principalmente l’area industriale nata a ridosso del porto di Gioia Tauro, costituita prevalentemente da capannoni mai entrati in funzione o abbandonati. E’ la zona in cui nove anni fa, dopo che furono feriti a colpi di fucile, apparentemente senza motivo, almeno due migranti dagli occupanti sghignazzanti di alcune auto in corsa, scoppiò una rivolta. Passati quei giorni di guerriglia si disse “Mai più Rosarno”. Ma da allora la situazione non è mai cambiata, almeno non in meglio.
Sono almeno quattro i morti di San Ferdinando negli ultimi mesi per cause violente. Il 2 giugno dello scorso anno, Sacko Soumayla, ventinovenne maliano, tra l’altro attivista sindacale, era stato ucciso nella vicina San Calogero da un colpo di fucile sparato da lunga distanza. Insieme ad altri due uomini, la vittima era entrata in una fornace abbandonata, alla ricerca di vecchie lamiere e altro materiale utile per costruire un riparo di fortuna, quando qualcuno gli sparò.
Gli altri tre sono morti a causa di incendi. Il 27 gennaio dello scorso anno a morire fu una giovane nigeriana, Becky Moses, di 26 anni. Solo poche settimane prima era dovuta andar via da Riace, dove era ancora sindaco Mimmo Lucano. A Riace Becky era ospite del Centro di accoglienza straordinario (Cas), aveva una casa e stava imparando un mestiere, finché la commissione territoriale le aveva comunicato il diniego della sua richiesta di asilo politico, rendendola una clandestina. All’inizio di dicembre toccò a Suruwa Jaithe, un ragazzo di 18 anni originario del Gambia, perdere la vita in un incendio nella baraccopoli. L’ultima vittima, quella che probabilmente ha fatto prendere al sindaco la drastica decisione di oggi, è Moussa Ba, senegalese di 26 anni, morto il 15 febbraio scorso in un incendio verosimilmente provocato da una stufa. La protezione umanitaria, ottenuta al suo arrivo in Italia dalla prefettura di Trapani, era scaduta.
I disperati di San Ferdinando lavorano soprattutto nella raccolta delle arance, nel periodo autunnale e invernale. Nei giorni in cui i caporali li ingaggiano, i più fortunati arrivano a guadagnare tra i 20 e i 25 euro per una giornata dall’alba al tramonto, prima di andare a trascorrere la notte nelle tende o nelle baracche circondate e inondate dal fango. La maggior parte di loro, tra un paio di mesi, si trasferirà nel foggiano o in Campania, in attesa dell’inizio della raccolta dei pomodori. In mezzo, per i più fortunati, qualche giornata lavorativa per la raccolta delle fragole.
Per i migranti sfruttati di San Ferdinando non sono il sole e la pioggia, come cantava Francesco Guccini ne “Il vecchio e il bambino” a segnare “il ritmo dell’uomo e delle stagioni”; a fermare questo ritmo non è stato, come nella canzone del cantautore emiliano, un disastro nucleare, bensì sono stati l’ingordigia disumana degli sfruttatori e un mercato malato dei prodotti agricoli.