In questa legislatura si è sviluppata una serie di discussioni fondate su informazioni distorte: si parla di Tav, ma il percorso ferroviario è programmato per una realizzazione adatta a far transitare treni merci alla velocità massima di 120 km orari e treni passeggeri a 220 km orari. Ne consegue che il traffico dirottato su questa tratta comporterà la contemporanea riduzione di quello sulle tratte alternative. I giornali, quindi, pubblicizzano notizie volte a convogliare il consenso, distraendo la popolazione dalla realtà dei fatti.
Un analogo progetto tra la Francia e la Spagna è naufragato miseramente, in quanto la società all’uopo costituita ha subìto il fallimento, atteso che il traffico ferroviario, anziché incrementarsi, ha avuto una riduzione e i transiti ferroviari non sono stati nemmeno sufficienti a generare introiti capaci di coprire le spese correnti. Errori di corretta previsione si ebbero anche per il tunnel scavato sotto la Manica, con conseguenti plurimi interventi di copertura dei costi e delle perdite che si erano andate accumulando.
Per il progetto italo-francese, nonostante tante discussioni e dibattiti, non si è mai affrontato il tema della costituzionalità degli accordi. Mi sento in dovere di farlo per sopperire a tale mancanza.
Il governo francese è intervenuto direttamente nella costituzione della società Telt, incaricata della realizzazione e dello sfruttamento dell’opera, acquisendo una partecipazione del 50%; l’altro 50% lo sottoscrive la società Fs italiana, di diritto privato e in odore di privatizzazione. Il governo italiano si assume gli oneri connessi alle concessioni autorizzative. Il tutto fa parte dei soliti accordi europei, per i quali i nostri politici hanno sistematicamente rinunciato al riconoscimento della parità delle condizioni.
In questo caso richiamo l’attenzione, in primo luogo, sulla circostanza che la partecipazione francese è blindata, cioè la sua partecipazione, in caso di previsioni rosee, non potrà mai essere acquisita, mentre quella italiana è chiaramente, non solo contendibile, ma nel caso di vicissitudini negative legate alla società Fs e non al progetto in argomento sarebbe impossibile conservarne integro il valore.
In secondo luogo, la Francia – pur avendo una partecipazione al 50% – si è obbligata a sostenere solo il 25% degli oneri complessivi, mentre l’Italia si è accollata il 35%, stante l’intervento europeo del 40%, perciò sbilanciato a favore del partner francofono.
La gravità di questa sperequazione è ineludibile e richiederebbe l’immediato intervento dell’organo di controllo per addossare ai responsabili la differenza di trattamento; soltanto in questo modo potremmo ottenere da coloro che vengono investiti di poteri decisionali la dovuta attenzione e un agire conforme ai “doveri del buon padre di famiglia”.