Eleonora è una bimba che ha compiuto dieci anni lo scorso 3 dicembre e che è stata resa tetraplegica dagli errori commessi dai ginecologi durante il parto. Per questo motivo la famiglia aveva vinto una causa grazie alla quale il Tribunale aveva imposto alle assicurazioni di pagare un risarcimento record di 5,1 milioni di euro. Ora, poiché le condizioni della bimba paiono peggiori di quelle che sembravano e le aspettative di vita sarebbero brevi, le assicurazioni tentano di riaprire il processo per riavere indietro parte dei soldi dal momento che “la bimba morirà presto”.
Sembra di assistere, tragicamente, alla riedizione vera – non di fantasia – del Mercante di Venezia, l’opera teatrale in cui l’usuraio ebreo Shylock decide di prestare del denaro che, in caso di mancato pagamento, dovrà essere pagato con una libbra di carne presa dal corpo vivo del garante. Non so quali garbugli legali possano giustificare una richiesta tanto oltraggiosa, ma è chiaro che ancora una volta la realtà supera la fantasia. Soprattutto snatura il senso di cosa siano le assicurazioni: non macchine per fare soldi ma, all’origine, istituzioni pensate per prendersi cura, custodia e protezione delle persone.
La cifra che Lloyd’s e Am Trust Europe avevano dovuto saldare alla famiglia di Eleonora era stato il frutto di una lunga ed estenuante guerra giudiziaria. Fin da subito, infatti, sia l’ospedale che le assicurazioni dell’istituto sanitario avevano cercato di negare il rimborso che sarebbe dovuto servire a pagare le costose terapie per la bambina: ora il redivivo Shylock, per non pagare, accampa la scusa che quei costi verranno a diminuire visto che la vita della bimba sarà più breve.
A rendere tutto ancora più triste vi è il fatto che questa discussione macabra avviene mentre la bambina è viva, mangia i biscotti al cioccolato che ama preparare con la mamma e, con il babbo, guarda Sanremo cantando a modo suo “Balliamo sul mondo” di Ligabue. Però non può difendersi e non può parlare a causa dei danni subiti in sala operatoria nelle 14 ore in cui la madre implorava un taglio cesareo necessario per la posizione della bimba che si presentava di viso, ma negato fino all’ultimo dalle ginecologhe che si accanivano invece con ventose e manovre.
Ora Eleonora, la cui vita rovinata dall’imperizia pare essere ancora più breve del previsto, deve subire anche la vergogna di essere valutata come un oggetto usato, quando chi spende i soldi si chiede quanto potrà durare ciò per cui spende e quanto potrà ancora servire. E invece in ballo c’è la vita di un essere umano, della sua famiglia. Un mondo di affetti, di dolori, di speranze che si è trovata sotto i riflettori grazie alla sua volontà di difendere il proprio diritto ad avere una speranza di vita e di cura. Ciò che il tentativo di riaprire il caso giudiziario ha definitivamente ottenuto è di oltraggiare ogni minimo rispetto della vita. Perché la vita è un valore sempre. Anche se Eleonora dovesse spirare prima, ci sarebbe il dovere etico, morale, civile di sostenere questa famiglia. Dopo il disastro fatto in sala operatoria, dopo il rimborso negato, dopo un vergognoso rimpallo di responsabilità che infanga oltretutto il nome di tanti istituti assicurativi che funzionano, di tanti ospedali che curano veramente malati e familiari, di tanti medici che svolgono il loro lavoro al limite dell’eroismo. Eleonora, dopo quello che ha subito, non merita tanta cattiveria.