Dopo la confessione choc sulla dipendenza dalla cocaina, Clementino è tornato con due singoli “Gandhi” e “Un palmo dal cielo”. Il rapper campano, che ha parlato pubblicamente del suo problema di tossicodipendenza, ai microfoni di Fanpage ha commentato la sua lotta contro la droga: «Come sto? Bene, ma vengo da un periodo molto buio, il mio riferimento è quello di Clementino a 16 anni, quando sognavo di diventare un grande rapper, salire sui palchi… in realtà lo facevo ma lo facevo a livello ultra amatoriale, però guardando una foto di me a 16 anni dicevo “quanti sogni avevo in quel periodo, quello di diventare un grande rapper, di essere riconosciuto in tutta Italia, avere un sogno di avere un pubblico che cantava le mie canzoni”, poi mi sono reso conto che per raggiungere questo sogno ho dovuto attraversare tarantelle su tarantelle sia psicologiche che fisiche».
CLEMENTINO: “IL PERIODO PIU’ BRUTTO DELLA MIA VITA”
Prosegue Clementino: «Innanzitutto c’era il non dormire la notte per paura di fallire, stare sempre attento, dover chiudere canzoni, fare album, paura di fare troppo tardi, dirci “abbiamo fallito, non c’è più nulla da fare”, poi, invece, sono stato premiato perché anche le persone avvertivano un messaggio, quella voglia di riscatto che ho sempre avuto: come tanti artisti già da ragazzino andavo verso gli eccessi, dovevo ribellarmi e fare rap è già un eccesso, è la musica di ribellione per eccellenza. Ho cominciato a scrivere musica e tutto, poi a un certo punto non mi sono più frenato e ho iniziato a tirare verso di me sia cose positive che cose negative». Il cantante partenopeo ha poi aggiunto ai microfoni di Fanpage: «Sì, ho passato il periodo più brutto della mia vita ma mi è servito, ho visto tanti rapper grossi passare attraverso problemi che non devono per forza essere il papà in galera etc, ognuno porta la sua croce e nel mio caso il problema è stato psicologico: vivendo nella provincia di Napoli – io sono di Cimitile – non c’è molto da fare, tanti ragazzi sono morti per la noia, non hai nulla da fare e ti droghi, oppure sei vittima del gioco d’azzardo, nel mio caso è stato un fattore psicologico. Sai cosa, però? Non mi sento né un prete né un missionario, non mi sento di dire ‘No ragazzi, questo non si fa’, io parlo della mia esperienza personale, ne ho viste di cotte e di crude. Provi una droga e ti piace, quindi il giorno dopo la prendi di nuovo e poi ancora il giorno dopo e chi è intorno a te ti dice che stai cambiando, non sei più la stessa persona, e tu ti rifiuti, dici: ‘Che cazzo vuole da me, fatti i fatti tuoi’, però col passare del tempo ti rendi conto che veramente stai cambiando, cambi nelle risposte, negli atteggiamenti, nel modo di fare, quindi c’era bisogno di una calmata»