Non è un esplicito attacco alla libertà di associazione. È solo l’ennesimo sasso infilato nel suo ingranaggio. Dopo il tentativo – rientrato – di istituire una “tassa sulla bontà” con il raddoppio dell’Ires per alcuni tipi di realtà non profit, la “spazzacorrotti” varata a gennaio contiene una disposizione che equipara le realtà del privato sociale ai partiti. È sufficiente infatti che qualcuno abbia avuto incarichi politici, anche a livello comunale e per brevi periodi, e si impegni poi nel volontariato, in una fondazione filantropica o in un’associazione non profit, perché questa sia tenuta ad adempiere a tutti gli obblighi burocratici e a sostenere le spese dovute a rendicontazioni e obblighi vari che ne deriverebbero.
Non importa se in queste realtà si aiutano gratuitamente i ragazzi a studiare, lottando contro la dispersione scolastica, oppure se si difende la salute dell’ambiente, oppure se si aiutano i ragazzi a uscire dalla droga, o se si fanno lavorare gli handicappati. L’importante è che in questo percorso virtuoso non finisca qualche politico, perché, in fin dei conti, il pensiero che si è insinuato è: se c’è una donazione, c’è sotto un interesse poco lecito, perché non si può dare qualcosa gratuitamente. C’è sempre l’idea che esista un secondo interesse. Sta prendendo piede purtroppo un pregiudizio cattivo e perdente, che vede il male ovunque, come ha detto un famoso magistrato: non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati ancora smascherati.
Questa mentalità, che considera anche l’imprenditoria come malata in sé, da una parte è incapace di credere che un essere umano possa fare del bene; dall’altra, erede della politica di Francesco Crispi, ritiene che solo lo Stato possa realizzare il bene collettivo. Solo l’ente pubblico può pensare a fare il bene comune. Siamo all’abolizione per legge della carità privata, proprio come avvenne a fine Ottocento.
Dovrebbe essere evidente, soprattutto a noi italiani, che nessuno degli obiettivi che questa società cerca di raggiungere, sia in termini di ripresa che in quelli di equità sociale, può essere raggiunto senza un aspetto di gratuità e di carità.
Esiste quasi una barriera invisibile che blocca l’iniziativa verso un nuovo corso e che comporta implicazioni economiche pesanti. C’è una sfiducia di fondo che impedisce di liberare energie. Nonostante in Italia ci sia un risparmio privato ragguardevole, si è sempre meno disposti a rischiare di investire, mettersi in gioco, creare impresa e lavoro. Bloccati dalla paura, neppure si ricorre a donazioni per aiutare chi ha più bisogno. La sfiducia e il sospetto alla fine bloccano il Paese.
D’altra parte, la nostra storia di italiani ci insegna che, soprattutto nei momenti più critici, tanti hanno dato più di quanto fosse strettamente necessario al loro benessere e a quello della loro famiglia perché avevano chiaro che non ci sarebbe stato bene personale senza la creazione di un bene collettivo.
L’iniziativa nata nel tessuto sociale ha creato imprese, corpi intermedi, associazioni, partiti che hanno svolto una funzione importante nella risoluzione di problemi e nell’affermazione di diritti. La partecipazione attiva alla vita dello Stato, resa possibile da luoghi fisici, ha educato a confrontarsi per poter raggiungere un bene comune.
Non serve introdurre un principio giuridico o una disposizione dall’”alto”, ma occorre tornare a mettersi insieme perché solo in una comunità è possibile tenere alto il desiderio personale, correggere l’errore, imparare ad amare il bene. Insomma, rilanciare un ideale che l’uomo da solo non può perseguire. Diversamente, nell’isolamento e nella disintermediazione (che sembra il risultato di questa politica) c’è il rischio che aumenti la corruzione.
In questo momento sembra che si sia persa completamente la consapevolezza del valore imprescindibile del non profit, non realtà ai margini della vita sociale ed economica, ma libere aggregazioni in cui le persone possono superare solitudine e isolamento e, in definitiva, incidere sulla vita civile.
Le recenti vicende di corruzione dimostrano che qualsiasi divisione manichea della società tra buoni e cattivi è destinata a fallire. I rivoluzionari di tutte le epoche sono finiti tra ghigliottine, epurazioni di massa, campi di concentramento, lager. Quando hanno raggiunto il potere hanno commesso errori peggiori di quelli che volevano correggere. Questo è ciò che dobbiamo evitare. Solo un’esperienza comunitaria che parli di bene e cerchi di realizzarlo può, più che vincere il male, fare sì che chi vi partecipa ricominci a cercare qualcosa di buono.