Di quattro uomini di cui la cronaca si è occupata di recente conosciamo molto poco. Parlo dell’autista senegalese che ha incendiato lo scuolabus, Ousseynou Sy, e dei due uccisori delle loro donne ai quali è stata dimezzata la pena: Michele Castaldo, reo confesso dell’omicidio della ex Olga Mattei, commesso in preda a una “tempesta emotiva”, e Javie Gamboa, 16 anni di carcere invece di 30 per l’omicidio di Angela Coello Reyes perché “lei lo illuse”. A costoro si potrebbe aggiungere anche il caso di Marianna Manduca, i cui figli dovranno restituire il risarcimento accordato in primo grado perché nessuna misura presa nei confronti del marito Saverio Nolfo avrebbe potuto impedire l’omicidio della giovane donna, “dato il radicamento del proposito criminoso” in lui.
Mi pare che le loro vicende si prestino a una comune considerazione che, per quanto impopolare, mi preme accennare. Tralascio di proposito di entrare in campo giuridico e sociologico, e non solo per incompetenza, ma soprattutto perché vorrei richiamare l’attenzione su un unico aspetto. Complesso come tutto ciò che riguarda l’umano, ma anche dotato di una sua limpidezza.
La cattiveria di un atto umano, omicidio o sequestro che sia, può essere attenuata da motivi psicologici o ambientali? Dai commenti letti su questi fatti sembrerebbe di sì. Questo mi appare come un vero attentato alla libertà dell’uomo, una degradazione della sua dignità. Egli non è solo il prodotto dei suoi antecedenti biologici, del suo passato difficile, del suo presente disperato, delle troppe parole di cui si imbeve, della mancanza di risorse per il controllo delle sue pulsioni.
Come tutte queste componenti concorrano a spingere l’uomo al male, non è dato sapere. Come giochi tutto il suo bagaglio con ciò che in lui è l’essenziale, la libertà, o se si vuole, la coscienza, non è compiutamente spiegabile. Ma non saperlo non coincide col negarlo e con l’attenuare la responsabilità dei suoi atti. Altrimenti si assolvono o si condannano azioni dalle quali è bene tenersi lontano almeno per non rischiare di parlare a vuoto.
E’ un grande mistero la libertà dell’uomo, così tremendo là dove si compie il male, così nascosto negli atti buoni. Forse per questo è più rassicurante distogliere lo sguardo dalla profondità di questo pozzo e indirizzarlo verso i lidi meno impegnativi dei meandri degli stati d’animo, dell’instabilità psichica, del disagio ambientale, della società non inclusiva e si potrebbe andare avanti. Tutte cose molto utili a chi voglia esercitare ciò che sa alla luce di ciò che accade, ma tutte cose che rispondono in modo parziale alla vera domanda: perché?
C’è da sperare che in chi per professione scrive, legge, emette sentenze, predica, sia presente la consapevolezza di questo iato tra ciò che conosciamo di noi stessi e ciò che siamo. Se non arriviamo a tacere davanti al limite della conoscenza e all’imponenza dell’essere, la nostra condanna è già scritta: rimaniamo in superficie, illusi di sapere tutto.