Un vero e proprio ping pong amministrativo. Quello della dissoluzione amministrativa del Comune di Lamezia Terme per pretese infiltrazioni mafiose. Dopo che lo scorso 22 febbraio il Tar del Lazio aveva annullato il provvedimento del Consiglio dei ministri del 22 novembre 2017, così come richiesto dal ministero dell’Interno sulla base di segnalazioni sparse della prefettura di Catanzaro, seguite a una complessa operazione di polizia giudiziaria della procura dello stesso capoluogo, il Consiglio di Stato, in attesa della decisione di merito rimandata all’11 aprile 2019, ha cautelativamente risospeso la giunta pur senza entrare nel merito delle accuse che avevano portato allo scioglimento.
Una vicenda confusa che si basava su alcune e sparse segnalazioni di polizia giudiziaria rispetto ad alcuni dipendenti con brutte frequentazioni, ma a quanto pare non “mafiose”, e al fatto che due importanti membri della giunta, il sindaco e il vicesindaco, in quanto avvocati, avevano in passato difeso esponenti di alcuni clan locali. Come se questo fosse un reato o un motivo di incompatibilità a vita. Peraltro entrambi i politici appena eletti avevano rinunciato al loro mandato e forse più di quello non potevano fare.
La sentenza del Tar del Lazio sezione prima aveva anche demolito una pretesa continuità con la giunta attuale, eletta nel 2015 e commissariata nel 2017, con le giunte già sciolte nella stessa città una ventina e passa di anni prima: una del 1992 e l’altra del 2001. Ma era bastata una semplice disamina dei nomi dei protagonisti per capire che questa continuità era solo immaginaria.
Altri elementi amministrativi e giudiziari raccattati qua e là nell’inchiesta “Crisalide” erano stati smontati nella logica e nel merito uno dopo l’altro, determinando la ponderata decisione del Tar di rimettere la giunta sciolta in sella a Lamezia Terme.
Va detto che nell’agosto 2018 alcuni dei fermi e degli arresti, più o meno eccellenti, di quell’operazione di polizia giudiziaria erano stati definitivamente annullati: non sussistevano le condizioni per metterli in carcere. Mentre il processo si è svolto senza il sensazionalismo che aveva caratterizzato l’indagine ai propri esordi.
Insomma, tutto si è ridimensionato. Restava, come unico episodio clamoroso, lo scioglimento per il consiglio comunale di Lamezia Terme. Sciolto in quanto infiltrato mafiosamente per antonomasia.
Un po’ come la moglie del cinese della barzelletta, che il marito picchia ogni sera quando torna a casa sul presupposto che lei sappia il perché, anche se lui non lo sa.