Le ammissioni di Cesare Battisti circa gli omicidi di cui si è reso responsabile e di quelli ai quali ha collaborato affinché si realizzassero, ci riportano indietro di oltre quarant’anni. Era un’altra Italia che oramai ci è diventata invisibile e incomprensibile. I terroristi di allora, con la P38 o la mitraglietta “Skorpion” in mano, ci appaiono oggi come dei veri e propri marziani, provenienti da un universo mentale del quale abbiamo smarrito il vocabolario.
Gli anni dolorosi poiché deliranti del terrorismo italiano sono conclusi: persi nella nebbia del nulla, del non realizzato, del non costruito. Non c’è senso, non c’è ragione, c’è solo sociologia paranoica, esaltazioni emotive e deliri. Ed è proprio un tale nulla, il nulla che ne è risultato, a esprimere la più netta e categorica condanna, la prova provata dell’inconsistenza, nella logica e nella sostanza, di un tale universo mentale.
Restano solo i morti, il dolore delle famiglie dei martiri per caso (da quelli della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, a Milano, fino agli ultimi: gli innocenti passeggeri della sala d’aspetto della stazione di Bologna del 2 agosto 1980). Restano le lacerazioni nel cuore e nell’anima di chi ha perso un padre, una madre, un figlio. Il nulla, il non senso e la non logica hanno partorito armi e armieri, bombe e facchini dell’orrore, vocabolari incomprensibili e tesi irripetibili.
Accanto ai morti per caso, coloro che semplicemente stavano nel posto sbagliato al momento sbagliato, ci sono i morti “giustiziati” dai “tribunali del popolo” (un concetto che, solo a nominarlo, fa orrore a ciascuno di noi). Sparare a qualcuno serenamente, a mente fredda, convinti di fare la storia, mentre si è compiuto solo un omicidio. Il nulla non solo uccide il passante, ma sale anche in cattedra per emettere condanne: senza appello, ovviamente. Proprio come gli assassini del Bataclan che, dopo aver scaricato i loro Kalashnikov su dei ragazzi inermi, hanno preteso anche di prendere la parola per i loro deliranti proclami.
Accanto ai morti per caso e ai “giustiziati” restano anche i nomi di quanti sono rimasti vivi, con un passato da dimenticare. Restano i fiancheggiatori, i sostenitori, gli affascinati dalla mistica rivoluzionaria del partito armato, gli utili idioti che dalle loro cattedre hanno legittimato terrore e terroristi. È infinitamente triste, per quanti fiancheggiarono, coprirono, sostennero un simile delirio pensare, oggi, quando oramai si è alla soglia dei settant’anni e la vita presenta il suo bilancio, ripensare ai propri vent’anni, al modo in cui li si è bruciati, ai danni fatti, agli altri ed a sé stessi. È assolutamente triste per tutti costoro ricordare i volti delle vittime uccise, inneggiando a un dizionario dell’orrore che oggi appare semplicemente insensato.
Provate a rileggere un volantino dell’universo brigatista o di qualsiasi altra formazione di quei tristi e squallidi anni e vi troverete un mondo immaginario, popolato di fantasmi che non sono mai esistiti, a cominciare dal famigerato Sim (lo Stato imperialista delle multinazionali) per finire con le “teste di cuoio di Kossiga”: gli agenti della sua scorta, che in realtà erano normali padri di famiglia che qualcuno a casa attendeva.
Credo che quanti si siano resi conto del male fatto, vivano in silenzio, portandosi nel peso della loro coscienza l’esperienza dei propri errori. Chi ha ucciso ed è realmente pentito fa fatica a vivere; “non se lo perdona” e ha veramente bisogno, nel dolore infinito e imperdonabile del male compiuto, di convivere con la propria colpa irredimibile e, come il figliol prodigo, non sapere dire altro che: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Questo è il reale pentimento che merita l’abbraccio, il perdono, se Qualcuno ci può aiutare in un tale gesto.
E invece pare che le cose non si realizzino così. Ci si scusa, come si fa per un errore di etichetta, per una “gaffe” socio-politica, per una caduta di stile. Si ammette ciò che si era negato per trentasette anni (e quindi ci si beffa dei “creduli” che hanno creduto sul serio alla propria innocenza) e soprattutto ci si autoassolve con la storia. La sociologia fa miracoli: “Non è colpa mia, eravamo convinti di fare una guerra giusta!”.
In una società nella quale ciascuno è sempre condizionato dal contesto storico-sociale nel quale vive è chiaro che Battisti, figlio di questa nostra epoca giustificazionista, non può non chiamare in causa i limiti di un’epoca, la svista collettiva, l’errore di un’intera generazione. Ci si scusa, nello stesso momento in cui ci si autoassolve in quanto non si è “realmente” responsabili: erano altri tempi. Siamo nell’epoca delle autoassoluzioni, ancorché parziali. Manca la coscienza del male compiuto che, se ci fosse, non darebbe nemmeno il coraggio di parlare e non farebbe desiderare altro che essere dimenticati.