Dopo la terza bocciatura dell’accordo di Theresa May e dopo otto diverse proposte bocciate dal Parlamento inglese mercoledì, siamo al punto zero sulla Brexit. Il segretario generale della Commissione europea Selmayr ieri “twittava” una semplice constatazione: “Il 12 aprile ora è il nuovo 29 marzo”. A pochi minuti dal voto il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, convocava un summit di emergenza dei 27 leader dei Paesi dell’Unione Europea per il 10 aprile. La Commissione europea invece emetteva un comunicato per ricordare che tocca al Regno Unito indicare una nuova strada (“a way forward”) da sottoporre al Consiglio europeo prima del 12 aprile. Nel comunicato la Commissione aggiungeva che il “no-deal” è oggi “uno scenario probabile”, che l’Unione Europea è pronta a un no-deal e infine che in questo scenario non ci saranno periodi di transizione, né “mini-deal” settoriali.
Il Parlamento inglese proverà a trovare una nuova via settimana prossima, ma a meno di una settimana dall’esito fallimentare su ognuna delle otto proposte esaminate non si comprende chi possa cambiare idea. Forse ha ragione Draghi quando all’ultimo consiglio Ue avvisava, secondo quanto riportato da un funzionario Ue citato da Reuters, che i mercati non hanno pienamente prezzato il rischio no-deal; forse hanno ragione i mercati che non prezzano questo rischio. Queste valutazioni sono le più difficili del mondo e infatti i “mercati” qualche svista sugli appuntamenti elettorali degli ultimi anni l’hanno presa; la sterlina non perde quello che ha perso (e in quel modo) nel 2016 se non ci fosse stato un errore di valutazione diffuso.
La situazione è talmente grottesca che ci si interroga se ci sia un disegno e se il caos sia in qualche modo “governato” per un fine che non conosciamo o non dichiarato; il dubbio onestamente viene anche a chi scrive, ma come sempre quando si tratta di ipotizzare le ragioni vere si può arrivare a conclusioni molto diverse. È certo che “il no-deal” sia l’ipotesi più traumatica per tutti non perché gli inglesi si ritroveranno con gli scaffali vuoti, ma per quello che comporta una rottura così drammatica di rapporti commerciali che durano da decenni. Oltretutto siamo in una fase economica e geopolitica globale particolare, come ci viene ricordato opportunamente da molte settimane.
L’Unione Europea, qualsiasi cosa si pensi, è un’istituzione che ha dimostrato di fare molta fatica in fasi di volatilità finanziaria e di rallentamento economico. È un fatto relativo sia a un’unione che non è mai stata completata, sia ai limiti della sua banca centrale, sia ai conflitti e alle accuse tra i Paesi membri in cui sostanzialmente tutti si sentono maltrattati. I difetti di governance dell’Ue sono un fatto di cui discutono tranquillamente anche gli europeisti più convinti. Questo è un elemento che bisogna sempre avere in mente.