Che la crescita esponenziale delle relazioni economiche con il Qatar al prezzo della diffusione dell’estremismo dei Fratelli musulmani in Italia non fosse un buon affare, lo abbiamo detto e ripetuto nel corso degli ultimi anni in centinaia di articoli, interviste, tweets, libri, conferenze e manifestazioni di protesta. Ora che anche La Stampa ha preso il coraggio a quattro mani per denunciare il ruolo della Qatar Charity nel finanziare la costruzione di moschee in tutta Europa, Italia compresa, da affidare agli imam e ai militanti fondamentalisti della Fratellanza, vuol dire forse che finalmente l’Italia s’è desta.
L’impulso è venuto dall’uscita in Francia del libro Qatar Papers, una cartografia del proselitismo condotto dalla Qatar Charity realizzata da due giornalisti, Christian Chesnot e Georges Malbrunot. L’inchiesta si basa su documenti confidenziali originali, che nel volume vengono divulgati per la prima volta e illustrano nei dettagli le modalità attraverso cui Doha finanzia l’estremismo in Europa.
Nel 2014 erano ben 113 i progetti per la costruzione di nuove moschee e centri religiosi, 45 dei quali in Italia, il Paese dove gli emiri hanno investito maggiormente negli ultimi anni a causa – spiace doverlo ribadire – della compiacenza della nostra classe dirigente.
Resterà negli annali della politica estera italiana l’indimenticabile cena al Quirinale dello scorso novembre in onore dell’emiro Tamim Al Thani, a cui è accorso l’intero establishment senza eccezioni. Ed è un segno del destino che l’uscita dei Qatar Papers sia avvenuta proprio in corrispondenza della visita, ieri a Doha, del primo ministro Giuseppe Conte. Al suo ritorno a Roma lo attendono molte pagine da leggere, magari insieme al sindaco Virginia Raggi, recatasi a Doha poco prima del premier. Entrambi potranno apprendere maggiori informazioni in merito ai 22 milioni di euro distribuiti dalla Qatar Charity da nord a sud e che hanno pressoché un unico beneficiario: l’Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia, ovvero i Fratelli musulmani.
Questi dati non possono comunque sorprendere quegli addetti ai lavori che non hanno mai smesso di suonare l’allarme. Il mio ultimo libro I Fratelli Musulmani e la conquista dell’Occidente. Da Istanbul a Doha, la linea rossa del jihad illustra nei particolari il dispiegarsi dell’agenda islamista dal Medio Oriente delle Primavere arabe all’Europa dei Tariq Ramadan, che i Qatar Papers confermano fosse stipendiato da Doha. Racconta delle migliaia di moschee (legali e soprattutto illegali), degli pseudo-centri culturali e di preghiera, dei luoghi di aggregazione sociale dove i Fratelli musulmani, grazie al supporto finanziario del Qatar, indottrinano e radicalizzano già da tempo i giovani della seconda e terza generazione, inducendoli ad abbracciare posizioni estremiste e fortemente identitarie, contrarie all’integrazione e viatico per il reclutamento in organizzazioni terroristiche come Isis e Al Qaeda.
Nulla di nuovo, dunque, sul fronte della lotta al terrorismo jihadista e sulla minaccia costituita dal binomio Qatar-Fratelli musulmani, a cui compartecipa anche la Turchia di Erdogan. Nulla che non sapessimo già e che non fosse già stato diffusamente divulgato anche in Italia neppure sulla figura dello Sheikh del terrore Yusuf Al Qaradawi, “guida spirituale” dei Fratelli musulmani di tutto il mondo, legato a doppio filo al Qatar e telepredicatore della conquista dell’Occidente “attraverso il proselitismo e la fede” sugli schermi di Al Jazeera. Neppure è stato invocato oggi per la prima volta l’intervento della “classe politica”, affinché si adottino leggi che vietino “ogni finanziamento estero” per le moschee e si intraprendano “azioni politico-diplomatiche” nei confronti del Qatar.
La lieta novità è che l’opposizione in Europa al giogo dell’estremismo islamista sta crescendo, guidata dal mondo del giornalismo, che con la sua opera di denuncia sta contribuendo enormemente alla diffusione di una maggiore consapevolezza della vera natura, delle ambizioni e degli obiettivi dei Fratelli musulmani e degli Stati canaglia che li sponsorizzano. La rottura del tabù che fino ad oggi impediva ai maggiori organi d’informazione in Italia di affrontare l’argomento è un segnale di speranza e al contempo una richiesta di un urgente cambio di rotta che la politica e le istituzioni non potranno più ignorare.