Il decreto crescita è stato approvato dal Consiglio dei ministri “salvo intese” e il giorno dopo sono emersi nuovi segni di divisione all’interno del Governo. Nel frattempo l’Istat, nella sua nota mensile sull’andamento dell’economia, segnala una fase di debolezza. E mentre Di Maio e Conte restano ottimisti sulle prospettive del Pil dei prossimi mesi, Moscovici e Dombrovskis esprimono fiducia in Tria, di cui è nota la volontà di rispettare i vincoli di bilancio, e chiedono di portare avanti il percorso di riduzione del deficit e del debito pubblico. “Se parliamo di modalità diverse per raggiungere un obiettivo comune e condiviso è un conto, se parliamo invece di differenze nelle priorità la situazione rischia di influire sulle aspettative delle persone, delle imprese e anche dei mercati esteri”, è il commento di Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano, alle frizioni all’interno della maggioranza.
Cosa concretamente può succedere?
Come abbiamo visto nel caso di Quota 100 e reddito di cittadinanza, nel Governo ci sono obiettivi diversi, ma che se complementari finiscono per essere sottocategorie di un obiettivo comune. Qualora non lo diventino, per esempio per ragioni di risorse, allora è chiaro che esiste un’implicita priorità che emerge da un confronto tra divisioni, perché a quel punto non c’è un obiettivo comune. E ciò influisce sulle aspettative. Queste considerazioni incidono decisamente sullo spread, oltre ovviamente a quelle legate alle elezioni. Come vediamo, il differenziale tra Btp e Bund resta sopra i 250 punti base.
Un livello non ottimale?
Fino a poco tempo fa vi era un po’ sotto traccia l’aspettativa che lo spread sarebbe tornato sotto quota 200. Così non è avvenuto e questo, oltre che avere delle conseguenze economiche dal punto di vista della gestione del debito, è soprattutto uno dei tanti indicatori delle aspettative che in questo momento contano parecchio. È un segnale che sarebbe meglio non ci fosse. Avremmo bisogno di uno spirito più vivace e costruttivo. Credo che questo continuo andare avanti e indietro del Governo, a volte sugli stessi obiettivi, a volte sulle priorità, non giovi.
Cosa ne pensa dei provvedimenti del decreto crescita? Possono aiutare a invertire il trend sicuramente non positivo indicato anche dall’Istat?
I provvedimenti onestamente non mi sembrano di grande impatto. Le misure del recente passato su Industria 4.0 hanno dato dei risultati, questo è fuori discussione. C’è quindi da augurarsi che questo rinnovo dia analoghi effetti. Tuttavia non si può dimenticare che gli investimenti netti in questo Paese sono andati sotto zero. Abbiamo quindi bisogno di una misura forte che faccia riemergere gli investimenti netti. Ancora siamo purtroppo in attesa di un vero avvio del cosiddetto sblocca-cantieri, che avrebbe dovuto essere la priorità su ogni altra. Il decreto crescita quindi è un provvedimento certo non nocivo, ma che va collocato nel contesto più generale dell’economia non solo italiana, ma anche europea mondiale.
E come vede il contesto generale?
C’è un’accentuata decelerazione anche in Germania, ma non va sottovalutata la capacità tutta teutonica di riorientarsi. La loro struttura produttiva è centrata su settori chiave e già in passato l’economia tedesca è stata in grado di dar vita a rapide riconversioni. Mi attendo quindi che faccia qualcosa del genere anche adesso. In un momento in cui certo ci sono delle nubi all’orizzonte economico internazionale, ma qualche sprazzo di luce c’è.
Per esempio?
Ad esempio, i dati recenti sulla Cina hanno mostrato un miglioramento, sembra che si possa scongiurare la guerra commerciale tra Washington e Pechino, la Brexit parrebbe meno pericolosa rispetto a un mese fa. È possibile quindi che, a prescindere da quello che avverrà in concreto a fine anno, qualche sprazzo di luce economica ci sia ancora per un po’ di mesi, se non accadono fatti nuovi e dirompenti. Questo lo dico perché potrebbe di rimbalzo significare un filo di respiro in più per il Def, il che rappresenta un’occasione che non andrebbe persa.
Per fare cosa?
In primis per iniziare davvero a sbloccare i cantieri. Poi, in un Paese in cui gli investimenti lordi sono diminuiti, quelli netti sono crollati e diventati addirittura negativi, avremmo bisogno che alcuni dei buchi neri che si sono creati dentro la struttura della presenza dello Stato nell’economia, il cosiddetto Stato sociale, vengano riempiti.
Può fare un esempio concreto?
Certo. Io credo che una funzione essenziale in questo Paese sia l’istruzione. Le scuole sono importanti per creare patrimonio culturale, umano, spirito di cittadinanza, ecc. Allora bisognerà pur dire che, ad esempio, nella scuola non si investe e gli insegnanti sono pagati poco. Nel momento in cui si rinnovano i contratti e gli stipendi tornano a livelli normali, non si aiuta solo la domanda effettiva, ma si fa anche un investimento. Si parla tanto di capitale umano, ma poi non si investe sull’istruzione. Voglio essere chiaro: non si tratta di spesa, ma di investimenti sul futuro. Questo discorso vale anche per la sanità.
Il Def sarà però anche il momento della ripresa di un confronto con la Commissione europea. E il vicepresidente Dombrovskis è stato chiaro: l’Italia deve continuare a ridurre il deficit e a portare il debito pubblico su una traiettoria discendente…
Lo ripeto per l’ennesima volta. Noi non siamo in una fase del ciclo economico, noi siamo in una crisi strutturale che dura da dieci anni. Quindi parlare di ciclo economico, anche quando si fanno i calcoli a Bruxelles, è ridicolo. Occorre un cambio di passo, andare avanti come abbiamo fatto finora non basta, rischiamo di rimanere inchiodati. E queste dichiarazioni di un esponente della Commissione europea non rappresentano un cambio di passo.
(Lorenzo Torrisi)