Ha chiesto scusa “come rappresentante dello Stato” Edmondo Barelli Innocenti, presidente della Corte d’Appello di Torino, alla famiglia di Stefano Leo, sgozzato da Said Mechaquat perché “troppo felice”. L’assassino avrebbe in realtà dovuto essere in cella e non a piede libero, perché già condannato per un reato precedente: da qui le scuse del presidente della Corte d’appello. Scuse tardive, a quanto pare. Il padre della vittima ha affermato schifato che vorrebbe andarsene lontano dall’Italia, paese in cui è sempre più difficile credere nella giustizia.
Durante la conferenza stampa Barelli Innocenti ha detto di aver dedicato tutta la vita alla giustizia e di essere dispiaciuto per le affermazioni secondo cui i giovani non ci credono più. Certo, se ad alimentare la fiducia nella giustizia non concorrono coloro che dovrebbero applicarla, non si capisce chi altri con maggior efficacia potrebbe farlo. Magari ci si poteva pensare prima di lasciar libero un violento già condannato.
Sempre Barelli Innocenti ha tirato in ballo la scarsità del personale, per cui in pratica non c’erano abbastanza assistenti alla cancelleria per evitare il ritardo nella trasmissione degli atti con l’ordine di carcerazione che avrebbe evitato l’assassinio, passando la patata bollente, in pratica, al ministero della Giustizia e a chi è responsabile di sottodimensionare il numero degli addetti.
Non so come abbia preso questa giustificazione il povero padre del ragazzo, ma io ne avrei ricavato un’ulteriore offesa. Si sa bene che c’è procura e procura e che non tutte lavorano con la stessa efficienza. In tutti i casi approfittare di questa tragedia per perorare la richiesta di assunzioni ce ne fa sentire tutto il cattivo gusto.
Sia chiaro, quanto è successo è ingiustificabile. Giustificato è solo il disgusto della famiglia, la sfiducia dei giovani nella giustizia, la vergogna di molti italiani su come viene amministrata. Anche il chiedere scusa del presidente mi dà l’impressione di sottovalutazione di quanto è successo. Ripetiamolo, casomai non si fosse capito: un giovane è stato selvaggiamente ucciso in una maniera che ha del satanico da un criminale che doveva essere in cella. Si può chiedere scusa per questo? Naturalmente a chi per propria ammissione ha sbagliato – e chiede scusa – non accadrà nulla, facendo balenare di nuovo l’annosa questione della responsabilità dei giudici. Come fare per avere giustizia della caterva di errori giudiziari senza che il terzo potere dello Stato, il cui compito è amministrare la giustizia, perda la sua sacrosanta indipendenza?
Siamo a questo punto. Ma non si dica che è sbagliata la generale perdita di stima nell’operato della magistratura: alla costruzione di questa stima possono concorrere solo sentenze giuste e applicate, un’amministrazione meno “creativa” della giustizia (e magari più vicina alla realtà reale, non solo a quella processuale che a volte sembra sinonimo di virtuale), un occuparsi da parte dei giudici di quello che è il loro dovere verso tutti apparendo meno su palcoscenici che dovrebbero essere loro interdetti, come quello della politica, dello spettacolo o dell’informazione, dove è inutile affacciarsi per chiedere scuse che agli occhi di molti sembrano solo grottesche.