Non sarebbe un bene se in Spagna, dopo le elezioni, ci fosse un Governo di minoranza, sostenuto dalla nuova sinistra di Podemos e dagli indipendentisti catalani. È un’opzione che, secondo i sondaggi, sarebbe possibile. L’altra possibilità che viene presentata agli spagnoli in campagna elettorale è un Governo di minoranza di Pp e Ciudadanos, sostenuto dalla nuova destra di Vox. Questa opzione, se ci si attiene alla maggior parte dei sondaggi, non sarebbe possibile (la corruzione, l’eccesso di tecnocrazia e la mancanza di risposta efficace ai tentativi di secessione della Catalogna costano molto ai popolari). I sondaggi comunque rivelano che c’è un 30% di elettori indecisi, il che rende difficile qualsiasi previsione.
La combinazione di Psoe, Podemos e indipendentisti porterebbe i socialisti fuori dalla tradizione socialdemocratica europea e li situerebbe in una posizione distante dai vasti consensi del centro. Una combinazione che desse protagonismo a Vox avrebbe importanti costi e rischi: darebbe risalto a un partito se non nettamente populista, molto vicino ai movimenti anti-europei, anti-immigrazione e sovranisti. Un partito che trasforma disagi comprensibili in fratture invincibili.
Non vi è unanimità nei sondaggi sulle possibilità di una terza alleanza: Psoe e Ciudadanos. Se dovesse concretizzarsi potrebbe far sì che i socialisti mettano da parte le loro trattative con il secessionismo e la loro tendenza verso certi estremismi ideologici (alimentati da Podemos). Estremismi che li portano, ad esempio, a essere irrispettosi dell’iniziativa sociale nell’istruzione. Nemmeno questa opzione è però esente da problemi (Ciudadanos non ha ancora mostrato di essere pronto a diventare un partito di Governo).
C’è una quarta alleanza che consentirebbe di formare un nuovo Governo. È la combinazione dei tre partiti costituzionalisti (Psoe, Ciudadanos e Pp). È una soluzione, alla tedesca, che se diventasse stabile finirebbe per alimentare i radicalismi. L’esistenza di un terzo partito, Ciudadanos, di natura liberale, potrebbe essere una buona formula per non dover ricorrere alla Grande coalizione.
Si potrebbe e dovrebbe discutere di quanto siano positivi gli esiti di questi e altri pronostici. Ma la cosa più urgente a questo punto è cercare di capire perché un accordo tra i tre partiti che sono più vicini al centro viene escluso. Il principale problema della politica spagnola è diventato lo spostamento verso gli estremi. Insieme a una possibile secessione della Catalogna, la sfida più grande della vita pubblica è superare una crescente polarizzazione indotta dall’alto, dai partiti, e incrementata dalla campagna elettorale. Questa polarizzazione tende a distruggere una Spagna comune, fatta non solo di riferimenti condivisi, ma anche di esperienze positive. Esperienze che rivelano come le differenze ideologiche o identitarie non siano assolute e non impediscano di affrontare insieme le sfide dell’istruzione, della produttività, della sostenibilità dello Stato sociale, dell’innovazione del modello territoriale.
La scelta su chi votare dovrà tenere conto di molti fattori, ma a questo punto sembra che il più determinante sia respingere la colonizzazione del confronto che viene dai partiti, promuovere un cambiamento dal basso e utilizzare come criterio più decisivo quell’opzione o combinazione che meno ostacola il riconoscimento di un noi comune tra gli spagnoli.
Perché il livello di polarizzazione è così alto? È difficile dire da quando la politica spagnola è diventata una guerra totale. A metà degli anni ’90, la fine del “lungo Governo dei socialisti” (1982-1996) provoca grandi tensioni. Felipe González (Psoe) è riluttante nel riconoscere che il suo ciclo è terminato. Ma dopo aver perso contro Aznar rinuncia a una possibile alleanza con nazionalisti e comunisti che avrebbe tolto la vittoria al Pp.
La sinistra, che ha una mentalità egemonica, digerisce con fatica la maggioranza assoluta di Aznar (2000), che a sua volta l’esercita con superbia e scarso spirito di conciliazione. La partecipazione alla guerra in Iraq e gli attentati dell’11 marzo 2004 aprono una profonda frattura. I due governi di Zapatero allontanano i socialisti dai postulati classici e trasformano il Psoe in un partito radical chic, concentrato sulla promozione di nuovi diritti che non dispongono di un consenso sufficiente. La polarizzazione è volutamente ricercata. Più tardi Podemos accentuerà questa tendenza.
Buona parte della comunità cattolica non ha all’epoca di Zapatero l’intelligenza storica di trasformarsi in un fattore sociale che aiuti a superare lo scontro. Crede che sia necessario condurre una battaglia frontale a favore della libertà di educazione che vede minacciata. E considera un obbligo morale opporsi radicalmente al matrimonio omosessuale e alla riforma della regolamentazione dell’aborto.
“L’agenda di contenimento” diventa praticamente l’unica agenda sociale e politica. Si sostiene continuamente che il valore della vita e la differenza sessuale sono nella natura delle cose, senza voler vedere che storicamente queste evidenze non sono più condivise e che non si può imporre ciò che non è liberamente riconosciuto. La testimonianza della comunità cristiana a favore di un noi comune resta, per forza di cose, in secondo piano. Sul terreno della libertà di educazione, le scuole paritarie non riescono a trovare formule nuove e creative per superare il confronto con una sinistra statalista. Il contenimento legale della decomposizione antropologica e la libertà di istruzione diventano quasi gli unici due criteri. Per questo si sostiene Rajoy (nonostante la corruzione e il grande malcontento politico ed economico causato dalla gestione della crisi).
Lo scenario verso il 28 aprile è diverso, richiede nuove risposte.