Lo sguardo di tutti gli operatori di scuola, in particolare di quella di secondo grado, dovrebbe concentrarsi sui luoghi che promuovono l’emancipazione sociale, e soprattutto quella culturale, cioè quelli istituzionali, attraverso un’educazione critica alla complessità, fatta di coesione e coerenza, che passa necessariamente attraverso l’interdisciplinarità e la transdisciplinarità.
Promuovere, ad esempio, nei licei, in particolare sulle discipline d’ indirizzo di ciascun percorso, lavori di apertura e di raccordo dei dipartimenti disciplinari, e quindi di apertura e raccordo tra docenti, in senso verticale ed orizzontale, tra classi parallele e non, tra discipline affini anche di diverse classi di concorso, porta ad una spinta determinante verso progettazioni curricolari trasversali che danno completezza e organicità di punti di vista diversi, a livelli di transdisciplinarità più tangibili ma soprattutto a competenze metacognitive di giudizio critico.
La chiara consapevolezza della portata innovativa di tali approcci ha aperto le porte alla gradualità dell’attuazione: l’esperienza ha evidenziato come in tali contesti dipartimentali, numericamente più contenuti rispetto a un dipartimento di area comprensivo di più discipline, il coinvolgimento attivo, propositivo o critico, di ciascun soggetto educante e docente sia più forte proprio grazie alla sostenibile condivisione di moduli didattici tematici già esperiti, di strategie di mediazione didattico-educativa che hanno dato il ruolo di soggetto costruens al discente/studente.
Incontri cosi strutturati consentono di dare voce effettiva a ciascuno per valorizzare, attraverso il confronto, modalità e strumenti già adottati dal punto di vista del docente; dal punto di vista del discente, invece, hanno consentito di affiancare nella giusta dose l’apprendimento motivazionale all’apprendimento incidentale.
E la disseminazione di tale approccio di confronto e di comparazione conduce, quasi per mano, alla promozione della didattica integrata che ha come obiettivo principale quello del critical thinking e quindi di tutte le competenze di cittadinanza consapevole direttamente correlate alla capacità di comprensione, argomentazione, decisione.
In queste esperienze, lo studente acquisisce la prioritaria competenza della fluidità del pensiero grazie all’integrazione tra discipline umanistiche e scientifiche fondata, ad esempio, su elementi di logica proposizionale, retorica ed etica.
Varare tali percorsi di valorizzazione con l’opportunità di raccordi universitari in seguito rafforza ancor di più la scientificità dei percorsi progettati, offrendo ulteriori occasioni di crescita personale e professionale a studenti, docenti e dirigenti.
La connotazione innovativa della didattica integrata sta nel guardare alle discipline come ad un insieme di linguaggi e strutture logiche funzionali alla decodificazione della realtà e alla comprensione di ogni fenomeno esperienziale.
Grazie alle “passeggiate inferenziali”, espressione della dimensione della critica letteraria di Umberto Eco, ritorniamo sulla metà degli anni 90, e precisamente al 1995, quando già Piero Dominici evidenziava le “false dicotomie”, come quella tra formazione scientifica e formazione umanistica.
Dominici si è occupato della “complessità della complessità”, una complessità che esprime la natura articolata, interconnessa e pluralistica dei processi cognitivi e comunicativi, di quelli linguistici e delle relazioni di sistema, e delle organizzazioni complesse.
Anche Francisco Varela, promotore tra l’altro della ricerca scientifica multidisciplinare, ha rivolto il suo appello alla complessità: occorre secondo lui mantenere e articolare una pluralità diversificata di punti di vista perché ognuno di essi pur producendo zone d’ombre può illuminare le zone d’ombra generate dagli altri.
Tracciare, seppur minimamente, il sostrato culturale di tali metodologie didattiche promuove la percezione prima e il riconoscimento effettivo poi dello spessore e della valenza di certe modalità che da un lato ci proiettano in avanti, dall’altro tengono però ben saldi gli insegnamenti del tempo storico e culturale che ci ha formati.
La metodologia della didattica integrata è quella che si contestualizza, ad esempio, sugli indirizzi di studi per la formazione superiore, in particolare quelli di durata diversa rispetto a quella vigente, in atto su diverse scuole di Napoli, della Campania e dell’intero Paese.
In questo caso, la coordinata temporale, e quindi l’esigenza di distribuire su un diverso periodo funge da vettore catalizzante per la diversa impostazione metodologico-didattica funzionale all’espletamento del curricolo in termini di monte ore disciplinari, ma anche in termini di competenze da perseguire in attuazione del cosiddetto “Profilo educativo, culturale e professionale” dell’indirizzo di volta in volta interessato (Pecup).
La spinta motivazionale delle famiglie e in particolare degli studenti, dettata sovente da contesti formativi e professionali già consapevoli dell’alto valore di certe opportunità, risulta in ogni tempo fondamentale; negli ultimi anni è cresciuta sempre più, nell’ambito della formazione classica, la richiesta di percorsi maggiormente orientati sia nella direzione scientifica, con il potenziamento dell’asse logico-matematico, sia nella direzione internazionale, attraverso lo studio delle lingue europee, sostanziate dalle competenze digitali, pur permanendo saldo il riferimento alla formazione classica che rende l’Italia un Paese unico al mondo.
Le progettualità didattiche tra paesi europei, le esperienze di simulazioni parlamentari condotte anche all’estero o presso l’Onu, gli scambi culturali, i confronti con studenti, docenti e dirigenti di altri paesi dell’Ue, i raccordi interistituzionali con istituti di matrice europea: tutto questo funge da coordinate spazio temporali che indirizza e sostiene i percorsi formativi moderni.
La flessibilità didattico-organizzativa, attraverso la pluralità delle sue declinazioni finalizzate a mettere al centro gli studenti, offre gli strumenti per modalità solo ad un primo approccio nuove e insolite, ma in realtà già note da decenni, a chi opera nella scuola.
Interessante, in tal senso, il collegamento all’impostazione attivista del Movimento di Cooperazione Educativa (Mce), nato nel 1951 sulla scia del pensiero pedagogico e sociale di Célestin ed Elise Freinet, movimento di ricerca che ha posto al centro del processo di formazione i soggetti, tendendo alla creazione in classe di climi favorevoli, all’ascolto attivo e alla comunicazione autentica, puntando a innescare processi circolari di apprendimento-insegnamento capaci di portare ad una crescita globale, affettiva, cognitiva e sociale, promotori di tecniche di didattica attiva.
È appena il caso di ricordare che l’Mce è un’associazione professionale collegata alla Fimem, Federation Internationale des Mouvements d’École Moderne.
In fondo le vie sono note, basta riscoprirle.