Lo sappiamo, è attraverso la scuola, la prima e forse unica agenzia educativa rimasta oggi, che i ragazzi si aprono alla vita. Prima delle materie, degli indirizzi di studio, delle proposte culturali, delle mille nozioni e informazioni.
Perché ho scritto “forse”? Perché ogni giorno a scuola lottiamo per ribadire che la prima agenzia educativa resta comunque la famiglia, anche se in troppe situazioni la crisi di molte famiglie finisce per scaricare sulla scuola responsabilità che alla scuola non competono.
Si aprono, dunque, alla vita. E in questa apertura sono chiamati a capire al volo che la loro cruna dell’ago si chiama valutazione, il vero lasciapassare verso le nuove tappe non solo scolastiche.
Non si può, dunque, non passare attraverso una valutazione, nella speranza però che il cuore della stessa valutazione sia l’autovalutazione, cioè la crescita di consapevolezza del proprio valore come dei propri limiti. Perché nessuno è autosufficiente a se stesso, nessuno è un’isola.
Ma la stessa valutazione (scolastica ed esistenziale) degli studenti non va assolutizzata, perché, lo ripeto, essendo uno strumento, ha come finalità l’autovalutazione, cioè l’autocoscienza verso la maturazione di sé come persone, prima che come studenti.
Si può, di tanto in tanto, incappare in qualche brutto voto come in qualche giudizio affrettato da parte di compagni o altri? Sono normali anche queste cose, perché tutto fa esperienza, tutto aiuta a capire il valore e i limiti di noi stessi, tutto può essere spinta verso il miglioramento continuo. Perché è sbagliando che si impara. E chi pretendesse di non sbagliare mai? Prima o poi la vita insegna che la testa da qualche parte la sbattiamo, e questo è un bene.
Per rimanere a scuola, la valutazione, anche se problematica (chi non ha incontrato docenti che hanno metri di giudizio diversi?), non ha come obiettivo la valutazione della persona, ma solo una qualche “misurazione” del proprio percorso di studio. Sapendo che lo sguardo finale è rivolto verso la personalità di ogni ragazzo, non solo verso alcune prestazioni su alcuni materie.
In questo sguardo, nessuno dei bambini e ragazzi è senza talenti, attitudini, sensibilità. Ma li possiede in modo diverso. Dovremmo rileggere bene la parabola evangelica dei talenti.
Valutare, per concludere, è valorizzare i talenti, le passioni, le motivazioni, oltre alla preparazione. Cioè valorizzare la parte migliore di noi stessi. Solo in questo modo, la valutazione si può trasformare in autovalutazione, cioè in un investimento personalizzato. L’unico vero antidoto alla noia e alla demotivazione, veri nemici della scuola di oggi.
Questo è il vero senso del “merito”, oltre la cruda selezione darwiniana.
(2-continua)