Giorni addietro sono state rilasciate alcun raccomandazioni per l’Italia, destinata a non crescere (-0,2%) nel 2019, ma che potrebbe invertire la marcia (+0,5% nel 2020) qualora si puntasse con determinazione sull’aumento della produttività e del sostegno alle imprese. Questo il quadro che emerge dalla presentazione del Rapporto Ocse Economic Survey of Italy 2019 illustrato dal Segretario generale, Angel Gurria, e dal ministro dell’Economia Giovanni Tria. Il quale, dopo averne preso atto, ha così proferito: “Condivido la necessità di dover tenere presente gli aspetti indicati dall’Ocse nel suo rapporto e ricordo come ne abbiamo tenuto conto fino a oggi, ad esempio, nella scelta del reddito di cittadinanza: siamo intervenuti sulla parte più fragile della forza lavoro italiana. Il reddito di cittadinanza è stato concepito con il duplice intento di consentire alla popolazione a rischio di emarginazione sociale di entrare nel mercato del lavoro e aumentarne la propensione al consumo”.
Il ministro ha poi ribadito che, con il decreto per la crescita, sono state “adottate tutte le misure per contenere il rallentamento e tenerci in area crescita positiva anche nel 2019. Manterremo gli obiettivi di deficit” ha concluso. Bene, ma… da quando in qua la crescita si fa per decreto?
Per tutta risposta, la mette giù dura: il decreto crescita, approvato salvo intese dal Cdm, rafforza gli incentivi fiscali per il rientro delle eccellenze italiane, emigrate all’estero, e introduce ex novo il “marchio storico” per la salvaguardia dei brand italiani dall’assalto di aziende straniere. Nel provvedimento rientrano anche la sanatoria su tasse e multe per gli enti territoriali, la revisione del regime Ires, l’incremento del fondo per la prima casa, i mini bond per le imprese, la rottamazione ter; vengono accelerate le dismissioni.
Cavolo, quando tutto quanto programmato per decreto verrà fatto si sarà raschiato il fondo del barile. A barile raschiato, gli estimatori, stimano un +0,2% di Pil. I detrattori manco quello, detraggono. Sulla copertina del Def, comunque, sta scritto +0,2% di crescita.
Bene, anzi male! Con un costo del debito maggiore del Pil, si avrà più defict, pronto a diventare debito e poter, con gaudio, partecipare al nuovo record per il debito mondiale. Quello che, secondo i dati del Fiscal Monitor del Fondo monetario internazionale, nel 2017 è arrivato a 184.000 miliardi di dollari, pari al 225% del Pil globale. Nella versione autunnale del rapporto, il debito era stimato a 182.000 miliardi.
Orsù Ministro, nell’economia dei consumi vige un paradigma che, seppur misconosciuto dai più, impone la regola: “La crescita si fa con la spesa. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, crea lavoro e lo remunera, remunerando Tutti”. Dunque, per far si che questa possibilità abbia a compiersi, s’ha da metter mano a quel vecchio, anchilosato, meccanismo di trasferimento della ricchezza generata dalla spesa ai soggetti produttivi, indipercuiposcia pure ai consumatori, che quella spesa fanno, per poterla rifare tenendo così attivo il ciclo.
Ministro, provi a vedere se, una tal trasformazione del trasferimento, possa esser fatta per decreto; per farlo non s’ha fare né deficit, né debito! Prosit.