“Io il Def lo abolirei”, dice Claudio Borghi, leghista, presidente della Commissione Bilancio della Camera e provocatore scelto del Capitan Salvini: “Per me tutto ciò che è basato su previsioni non ha utilità, quindi lo abolirei”, ribadisce. E spiega: “Prendiamo il Def dei 2015, quello fatto bene, da quelli bravi, tipo Padoan e compagni: rappresentava impegni fino al 2018. Il triennio si è concluso, ma a ben vedere tra miglioramenti dell’economia e contesto europeo favorevole, c’è uno scostamento di 70 miliardi. Di che parliamo? Mentre il Def di Padoan rispetto alle previsioni è andato peggio, il nostro farà il contrario, andrà meglio”. Ecco, miglior viatico la prima giornata di dibattito alla Camera sulla bozza (vuota) di Def non avrebbe potuto avere. Una bella intervista di Borghi a La Verità che stronca il Def e i suoi (poveri) contenuti.
E come dargli torto, peraltro? Indubbiamente quelle discrepanze sarcasticamente evidenziate ci sono state: non se le sta inventando lo sparatutto del Carroccio. E una pulce nell’orecchio al Governo che Borghi peraltro sostiene sia pur turandosi il naso la battutaccia l’ha messa. Poi iniziano le sparatorie del fuoco nemico contro i poveri giallo-verdi di lotta e di poltrona (governativa). Prende il cannone – come sempre, tre volte al giorno – l’intrepido Renato Brunetta, responsabile economico di Forza Italia, per dire che “Lega e Movimento cinque stelle hanno dichiarato nei giorni scorsi di voler presentare in Parlamento una risoluzione al Def, che nel loro intento dovrebbe essere un vero e proprio ‘contro Def’, con la quale mettere per iscritto l’impegno da parte dell’esecutivo a introdurre la Flat tax ed evitare l’aumento dell’Iva nella prossima legge di Bilancio. Annunciamo sin da ora che anche Forza Italia presenterà una sua risoluzione al Def, diversa da quella di Lega e Movimento cinque stelle, nella quale verrà riproposta la soluzione sulla Flat tax già presentata lo scorso autunno. Se Matteo Salvini è uomo d’onore, firmi con noi quella risoluzione, che era poi quella inserita nel programma di centrodestra che lui stesso aveva firmato prima delle elezioni nazionali del 2018”.
E l’appello all’onore dei Prizzi rimarrà una pietra miliare. Da Brunetta in giù, in attesa della tremante (more solito) replica che prima o poi il Governo, per interposto ministro Tria, dovrà pur dare, la giornata di ieri è stata tutta un florilegio di critiche, tanto da far pensare a qualcuno: “Molti nemici, molto onore!”.
Lo Svimez, l’istituto per gli studi sullo sviluppo del Mezzogiorno, lagnoso come sempre (ma con ragione): “Si confermano i rischi di un forte rallentamento economico, il Sud torna con il segno meno”. I sindacati confederali: la Cgil, preoccupata dalla flat tax che stronca la progressività fiscale, dallo sblocca-cantieri che dà la stura alla corruzione (perché invece finora…), dagli altri possibili tagli alla spesa pubblica; la Uil, contro la lotteria degli scontrini e dubbiosa sul salario minimo; la Cisl, che non è convinta della flat tax, e depreca l’assenza di politiche industriali. E poi l’Ugl, secondo cui il reddito di cittadinanza farà aumentare la disoccupazione.
E la Confindustria? Dice che le coperture dalla flat tax sono vaghe, gli incassi attesi dalle privatizzazioni inverosimili, e lacunose le ricette contro il rallentamento economico. Poi si ferma, perché – come diceva Gianni Agnelli – la Confindustria può essere anti-governativa al massimo per sei mesi, poi deve scendere a patti, perché “ha famiglia” e precisamente 130 mila aziende associate che da molti provvedimento del Governo dipendono e quindi devono almeno un po’ lisciarlo per il verso giusto.
Insomma: è cominciato il ballo di San Vito. Ma per il momento non è una cosa seria. E non lo diventerà nemmeno quando inizieranno i confronti internazionali. Diventerà seria quando lo decideranno i mercati, sempre che lo facciano.