In Sicilia per anni lo hanno chiamato “il re del vento”. C’è stato un tempo in cui, quando si presentava nei locali dell’assessorato regionale all’Energia (allora si chiamava ancora assessorato all’Industria e alle Miniere), era accolto con deferenza. Potenzialmente “rischiava” di diventare l’uomo più potente e ricco di Sicilia o quantomeno era nei primi posti e nessuno dubitava del fatto che sarebbe stato il detentore dell’energia pulita.
Il personaggio chiave dell’inchiesta che ora fa tremare il governo nazionale e regionale è Vito Nicastri. Ieri è tornato in carcere. Per lui si è trattato di un ritorno, visto che era ai domiciliari. Il suo impero “eolico” è crollato un paio d’anni fa con l’inchiesta della procura di Palermo che lo ha messo al centro di accuse pesanti, che vanno dalla corruzione e dalle tangenti fino al favoreggiamento di Cosa nostra.
Lui è il personaggio centrale, ma non tutte le accuse sono rivolte a lui. La ricostruzione della procura di Palermo parla di costituzione di fondi neri usati in parte per corrompere e in parte per sostenere la latitanza della primula rossa della mafia Matteo Messina Denaro: un boss dalle fortune alterne, forse non più proprio in auge dentro Cosa nostra, ma comunque l’uomo che resta il maggiore latitante italiano, il più ricercato e più a lungo.
Un’inchiesta che non guarda in faccia nessuno, tanto che a fianco di ogni accusa mossa dalla procura di Palermo non c’è neanche il classico “paragrafetto” fra parentesi con l’estrazione politica dell’indagato. Dettagli che però la dicono lunga su un’inchiesta coordinata personalmente dal procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, insieme al procuratore aggiunto Paolo Guido e al pm Gianluca De Leo, che vede come imputati principali imprenditori di grido, ma poi tocca alti burocrati della Regione come Alberto Tinnirello, 61 anni, funzionario regionale, in precedenza al Dipartimento dell’energia.
Giovedì il ritorno in carcere dell’imprenditore. Nicastri, dai domiciliari, violando le prescrizioni dei giudici, avrebbe continuato a comunicare con l’esterno e a fare affari. Video girati dalla Dia lo ritraggono mentre parla al balcone dei progetti sull’eolico fermi alla Regione. La procura, che lo teneva sotto controllo, ha chiesto e ottenuto l’aggravamento della misura cautelare. Indagando su Nicastri e anche grazie alle dichiarazioni di diversi pentiti, i magistrati hanno ricostruito un giro di corruzioni di funzionari regionali siciliani finalizzati a ottenere permessi per progetti legati al mini-eolico e alla realizzazione di due impianti di biometano.
Ora l’inchiesta fa un salto in avanti e individua un altro uomo di raccordo: Paolo Franco Arata, 69 anni, professore, già esponente parlamentare di Forza Italia e oggi consulente della Lega sull’energia. E lui diventa il fulcro dell’inchiesta bis. A Palermo viene ritenuto il trait d’union fra l’area Nicastri e politica e amministrazione siciliana. Avrebbe raggiunto perfino Alberto Pierobon, oggi assessore tecnico della giunta Musumeci, uomo messo lì non solo perché esperto delle materie, ma proprio perché proveniente dal Nord Italia e non raggiungibile dagli apparati siciliani, dai piccoli e medi interessi e così via. Individuare politicamente Pierobon non è difficile. È un uomo vicino all’Udc. Pierobon, è bene chiarirlo, non è accusato di nulla. Ma lo ha incontrato e lui stesso, l’assessore, chiarisce che Arata era venuto a presentarsi come rappresentante di area politica e di alcune aziende e a lamentare la lentezza della burocrazia.
Ma Arata è al centro del filone romano dell’inchiesta. Gli atti trasmessi da Palermo alla procura della capitale hanno portato a indagare sul sottosegretario Armando Siri, che avrebbe usato la sua funzione per motivi non inerenti la politica, ovvero avrebbe intascato 30mila euro, portati da Arata e provenienti da Nicastri, per inserire nel Def 2018 una norma utile alle aziende di Nicastri e compagni. Tutte accuse da dimostrare, respinte con forza da Siri. E c’è poi da dire che quella norma non venne approvata.
I filoni sono tanti e la polemica politica impazza. Ma una cosa va sottolineata. L’inchiesta tocca la mafia, tocca il denaro e gli interessi economici, tocca la burocrazia regionale siciliana e italiana, tocca la politica. E quando guarda al mondo politico spazia dall’Udc a Forza Italia fino ad arrivare alla Lega. E non ci sarebbe da sorprendersi se nel prosieguo venissero fuori uomini di ruolo anche di formazioni politiche finora non toccate. Al contrario qualcosa sembra in procinto di emergere, visto che al governo in Sicilia e nel Paese negli ultimi anni sono passati un po’ tutti.
Manlio Viola è direttore di blogsicilia