Gli Stati Uniti ieri hanno deciso di terminare le esenzioni alle sanzioni per l’import di petrolio dall’Iran che erano state garantite ad alcuni Paesi alleati, tra cui l’Italia. Il prezzo del petrolio ieri è salito per i timori di riduzione dell’offerta sul mercato; tutto come da copione all’apparenza anche se è probabile che la vera “notizia” per i mercati sia stata un’altra e cioè la minaccia dell’Iran di “chiudere” lo stretto di Hormuz. Per quanto improbabile, questa iniziativa è sicuramente più preoccupante per i “mercati”, dato che quel tratto di mare è vitale per i commerci petroliferi globali. Così vitale che se la minaccia venisse veramente realizzata sarebbe molto difficile evitare un conflitto più “diffuso”.
Sul mercato del petrolio si contano diversi fronti aperti. Uno appunto è quello iraniano con la novità di ieri; poi c’è il caos in Venezuela con le sanzioni del Governo americano e infine dall’altra parte del Mediterraneo gli scontri in Libia. Tre Paesi produttori, ed esportatori, sono contemporaneamente interessati da conflitti interni o esterni o tutti e due. Per le menti semplici degli investitori questo basta e avanza. Non è chiaro come queste crisi possano influenzare la politica americana, dato che non ci risultano elettori che esultino per un rialzo dei prezzi della benzina. Sappiamo però che l’America oggi è il principale produttore di petrolio del mondo dopo una crescita spettacolare che ha più che raddoppiato la produzione giornaliera in meno di sette anni. Il colpevole di questa crescita spettacolare è lo “shale oil”; un fenomeno reso possibile da enormi investimenti in perdita grazie alla liquidità facile e a cui oggi non dispiacciono prezzi del petrolio sensibilmente superiori ai minimi di qualche anno fa.
La conclusione è che gli Stati Uniti sono molto meno “sensibili” agli incrementi del prezzo, o alla diminuzione dell’offerta, di quanto lo fossero dieci anni fa. È un dato di fatto che non deve essere dimenticato e a cui molti non si sono ancora abituati. Meno di dieci giorni fa, oltretutto, è stato comunicato uno dei maggiori “deal” tra società produttrici degli ultimi anni. Chevron ha annunciato l’acquisizione dell’americana Anadarko in un’operazione da 50 miliardi di dollari e con un premio di circa il 40% sui prezzi di borsa. La scommessa sul portafoglio di riserve americano di Anadarko testimonia un certo “ottimismo” su una geografia che non è particolarmente sensibile a tensioni geopolitiche. Forse testimonia anche un certo ottimismo sulla stabilizzazione del prezzo del greggio; ai nostri fini basta evidenziare che c’è un mondo complicato e in cui gli Stati Uniti sono più liberi perché meno vincolati dagli incrementi indesiderati del prezzo del greggio e che in questo mondo succede anche che la gente paghi per riserve poco complicate e in America.
In questo scenario sottolineiamo un altro fatto. Il principale, di gran lunga, importatore di petrolio al mondo è l’Unione Europea che importa quasi il doppio della Cina. La destabilizzazione della Libia non dispiace solo agli italiani che hanno dovuto subire l’umiliazione della guerra in Libia nel 2011 e che oggi assistono alla telefonata tra Trump e Haftar. Sarà anche per questo se in tale dispiacere l’Italia si trova “alleata” dei tedeschi e che entrambi guardino con poca simpatia quanto hanno fatto e stanno facendo i francesi. Gli stessi che presidiano benissimo e vogliono continuare a presidiare nello stesso modo quello che sta a sud della Libia con i giacimenti di uranio necessari per far funzionare le centrali nucleari.
Nell’elenco degli attuali sostenitori di Haftar, a cui forse dovremmo aggiungere gli Stati Uniti, l’unico Paese europeo è la Francia. Nell’elenco figurano la Russia, l’Arabia Saudita e l’Egitto. Qualsiasi cosa stia succedendo sul mercato del petrolio o qualsiasi cosa abbia determinato tre focolai di tensioni contemporanei in Paesi produttori chi ha più da perdere è l’Unione Europea e in particolare Germania e Italia; questo anche per i riflessi sui flussi di migranti. Mai come in questa fase servirebbe che l’Unione Europea esprimesse una posizione comune, ma purtroppo si assiste al solito gioco a somma zero, nella migliore delle ipotesi, del tutti contro tutti.