Paolo Ruffini torna a Verissimo per raccontarsi a 360 gradi. Si parte dalla famiglia e dal rapporto con i fratelli: “Sono più grandi di me. Uno lavora in marina e uno è ingegnere. Siamo molto diversi e ci vediamo poco, ma avere fratelli è sempre bellissimo“. Dopo aver ricordato gli anni della scuola esortando i ragazzi di oggi a studiare non per i genitori, ma per se stessi per avere più possibilità di scelta, Ruffini parla dell’inizio della sua carriera: “Prima di tuffarmi nel mondo dello spettacolo, lavoravo in un’azienda municipalizzata e avevo quello che si chiama il posto fisso. Per fare questo lavoro ho dovuto licenziarmi e mio padre mi diceva, sei sicuro? Alla fine mi ha dato ragione ed oggi è il mio primo fan” – racconta l’attore, regista e conduttore – “Quando scrivo una sceneggiatura, la mando prima a lui che, essendo molto colto, mi corregge sempre”. Prima di cominciare a avorare seriamente ne mondo deo spettacoo, Ruffini ha anche lavorato come animatore vincendo il titolo di miglior animatore alla prima stagione. Da lì al successo in tv il passo è breve (aggiornamento di Stella Dibenedetto).
A Colorado in difficoltà: “La gente non ride più”
Dopo il successo al cinema con Modalità aereo, Paolo Ruffini è tornato in televisione. Lo ha fatto con Colorado, al fianco di Scintilla (Gianluca Fubelli), i PanPers e Belen Rodriguez. Con Andrea Boin, Ruffini è capoprogetto di una squadra di 40 comici. Un bell’impegno, in un momento storico in cui “la gente non ha voglia di ridere”. Sarà questo uno dei temi da affrontare in questa puntata di Verissimo, in onda su Canale 5 a partire dalle 16. La comicità, a detta di Ruffini, “è in crisi”. “C’è una censura popolare continua e una morale che neanche nel 1936″, dichiara in un’intervista al Messaggero. Solo uno può permettersi di prendere un po’ in giro la gente: Checco Zalone. “Non fa la parodia, ma la riproduzione della parodia”. Su Italia 1, invece, ci pensano i “diversi” a smontare il politically correct. Il conduttore cita Federico Parlanti, una persona brillantissima con la sindrome di Down, che – neanche a dirlo – viene dal suo spettacolo.
Il “bambino” Paolo Ruffini
A proposito di Up&Down, Paolo Ruffini è sempre più fiero: “A fine aprile pubblico un libro, Sindrome di Up, la storia di come con loro ho trovato confidenza con la felicità. Ho una passione sfrenata per gli ultimi, quelli che arrivano un po’ dopo. Sento di non dover dimostrare nulla. Nella dinamica di oggi, dove tutto è veloce, la lentezza è un sintomo di avanguardia, eccellenza”. I veri anticonformisti, insomma, sono quelli che non fanno nulla per esserlo. Quelli che lo sono già per natura, semplicemente, come i bambini. Viene spontaneo chiedergli: come mai non ha figli? Probabilmente perché non vuole che qualcun altro gli rubi la scena. Tra le sue paure “puerili” c’è quella dei ladri: “Vivo in albergo da cinque anni”.
Paolo Ruffini: “Maschilista? No, galante”
Paolo Ruffini è ancora dell’idea che le donne abbiano minor senso del ridicolo. Non è maschilismo, spiega, ma galanteria: “Se Scintilla inciampa e cade, rido. Se cade Belen, mi viene spontaneo andare a soccorrerla”. Pur di non essere frainteso, Ruffini tira in ballo un’altra collega: “Prendiamo un altro esempio, le torte in faccia: se uno la tira a me, le persone ridono. A Paola Cortellesi, si dispiacciono. Perché l’essere femminile ha una grazia e una predisposizione empatica verso il pubblico diversa. Quindi no: gli uomini e le donne non fanno ridere allo stesso modo”.