Nel mio recente articolo, prendendo spunto da importanti dati resi attendibili poiché molto simili se non addirittura uguali pur provenienti da tre ricerche scientifiche diverse, ho messo in evidenza lo stato di arretratezza del nostro sistema scolastico rispetto alle esigenze di preparazione dei giovani del nostro tempo, un sistema che pur ricco di lodevoli ed encomiabili esperienze innovative e all’avanguardia da un punto di vista didattico ed organizzativo, non riesce a portarle a regime.
Ho sempre ritenuto che un’analisi non si può limitare ad evidenziare i problemi ed i risultati negativi raggiunti evidenziando le criticità, ma deve anche addentrarsi nel difficile ambito della valutazione di quali possano essere le possibili azioni utili ad ottenere un cambio di rotta.
Non mi addentrerò pertanto nell’analisi dei vincoli e fattori di blocco, ma analizzerò quali possano essere gli interventi, partendo da risorse e costi e lasciando autonomia e modernizzazione didattica ad un prossimo articolo, senza nascondere una verità: sarà solo la volontà politica di una politica consapevole e responsabile a far uscire il sistema dalla “bonaccia”.
Ogni ristrutturazione organizzativa e innovazione non può che necessitare di investimenti finanziari. Questo aspetto va considerato in un contesto internazionale che ho già rilevato nel mio intervento “Spesa o risparmio? Qualche considerazione su una diversa modalità di finanziamento del sistema pubblico” (pubblicato su S.O.S. Educazione statale, paritaria: per una scuola migliore) con riferimento agli studi di Norberto Bottani che hanno evidenziato come la crisi economica recessiva del 2008 ha portato gli Stati occidentali a considerare gradualmente insostenibile la spesa complessiva dell’istruzione, mettendo a rischio il mantenimento di un sistema scolastico gestito solo dallo Stato.
I dati Ocse (fonte Corriere della Sera) confermano questa tendenza di un calo di stanziamento di risorse in tutti i Paesi Ocse, calo che continua anche oggi. Questo mi permette di fare una considerazione sui dati comunicati da Francesco Magni nel Convegno di Articolo 26. Gli interventi di alcuni Paesi europei a sostegno del privato (tra gli altri, Danimarca fino a 8.900 euro per studente del primo ciclo o Finlandia 6.900 euro nella primaria e oltre 7.000 euro nella secondaria) non sono certo frutto di “scelte valoriali” legate ai diritti dei genitori alla libera scelta educativa, ma ad un sano pragmatismo di bilancio che punta ad un risparmio di investimenti statali e nel contempo ad offrire un servizio formativo di qualità ai propri cittadini. Sotterrare le ideologie e puntare ad una pragmatica sinergia pubblico-privato che permetta allo Stato un risparmio di risorse pur puntando ad un sistema formativo che sappia rispondere con qualità alle esigenze di formazione dei nostri giovani, come ricordava anche Luisa Ribolzi, in altra forma, in un suo recente articolo su questa testata. Se questo vale per gli altri Paesi, che si sono già messi in moto in questo senso, vale ancor più per l’Italia, che come sappiamo è tra i Paesi che investe meno in istruzione (circa 8% della spesa pubblica contro una media europea di circa il 13%) e che negli anni ha drasticamente ridotto gli investimenti dai 71.274 milioni del 2008 (spesa complessiva dall’infanzia all’università) ai 65.595 milioni di euro del 2016 (fonte Openpolis), investimenti che si ridurranno ulteriormente come ci hanno detto le indiscrezioni recenti riguardanti il prossimo Documento di economia e finanza.
Il secondo punto richiama la necessità di conoscere i costi della scuola, tema uscito al convegno di Articolo 26 come ha ricordato Chiara Iannarelli in un suo articolo. Nessuna impresa, e la scuola è un’impresa chiamata a gestire beni e risorse, può sopravvivere ed avere risultati positivi se non parte da una conoscenza precisa dei costi che deve affrontare. Un recente esempio è dato dalla comunicazione del costo medio per studente, utile riferimento per stabilire i criteri di ripartizione dei contributi alle scuole paritarie. I vecchi dati si riferivano al decreto del Mef del 26 giugno 2014, e dopo cinque anni viene comunicato che il costo medio si è ridotto da 6.914,31 a 6.624 euro, in aperta contraddizione con i dati Ocse (fonte Openpolis) che indicano che il costo medio italiano passa da 8.545,1 dollari (nel 2008) a 8.996,3 dollari (nel 2016) – pari a 8.550,3 dollari al cambio 0,95043 del 31 dic. 2016 – sicuramente in crescita dopo il grande reclutamento renziano e l’istituzione, in incremento, dell’organico di potenziamento.
È indispensabile ripristinare una commissione di studio che affronti scientificamente questo problema e sappia dare risposte utili ad avere dati certi sui costi della scuola per una corretta organizzazione e gestione.
Pragmatica sinergia pubblico-privato e certezza dei costi sono sfide aperte. La politica sarà consapevole e responsabile per saperle affrontarle e vincerle prima che sia troppo tardi?