Non riuscivamo a chiudere occhio. Tensioni da innalzamento dello spread? Naaa… Venti di guerra tornati a soffiare sul Golfo tra Stati Uniti e Iran? Naaaaaa… Preoccupazioni per la successione di Allegri sulla panchina della Juve? Naaa, naaa, naaa! Che cosa volete che siano queste pinzillacchere a fronte del “cold case” dell’anno. Che riguarda nientepopodimeno che il nostro attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Quando abbiamo appreso del delitto consumato nei suoi confronti, ci siamo fatti prendere da un’ansia feroce, un’inquietudine insana, un’apprensione da film giallo dalla quale è risultato impossibile liberarsi. Un caso irrisolto che reclamava a gran voce un’indagine accuratissima per scoprire il colpevole.
I fatti sono noti, sebbene raccontati in poche succinte righe nelle prime pagine del libro “Io sono Matteo Salvini”, scritto da Chiara Giannini per i tipi di Altaforte, la casa editrice esclusa dal Salone del Libro di Torino: “… d’ingiustizie nella vita ne ha subite anche lui, sin da piccolo, quando racconta ironicamente che all’asilo gli rubarono il pupazzetto di Zorro”. Un misfatto gravissimo, perdipiù compiuto in un luogo, una scuola materna, simbolo di preservata innocenza, gioiosa spensieratezza, comunitaria allegria. E perché tra tanti bambini proprio lui, il piccolo Matteo? Perché proprio il suo pupazzetto di Zorro? Sicuramente qualche suo compagno avrà posseduto una barca in miniatura o una fiammante macchinina, un bel soldatino… perché a loro no e a lui sì? E ancora: che fine ha fatto quel pupazzetto? In quali malavitose mani sarà passato: Cosa Nostra? La ‘ndrangheta? La camorra? La mafia cinese? Il Ku Klux Klan? La Trilaterale? I comunisti? (e possiamo anche immaginare chi possa avergli suggerito un così orrendo ordito!). E last but not least: c’è qualcuno che ne è ancora in possesso?
Domande purtroppo senza risposta. Per trovarla, ci siamo rivolti d’emblèe al nostro caro Zingarelli, un vocabolario che sa tante cose perché le ha rubacchiate (“Mai toccato un pupazzetto, però!” ci ha assicurato) qua e là in giro per il mondo. “Di questo caso – ha scrupolosamente esordito lo Zinga – si sono occupati i maggiori giallisti. Ricordo solo qualche titolo tra i best seller più conosciuti: Pupazzetto sull’Orient Express di Agatha Christie; Il nome del Pupazzetto di Umberto Eco; Il pupazzetto che venne dal freddo di John Le Carré; Il pupazzetto suona sempre due volte di James M. Cain; Il nostro pupazzetto all’Avana di Graham Green; 007 Licenza di uccidere il pupazzetto di Ian Fleming; Il pupazzetto da Vinci di Dan Brown. Volete, dunque, farvene un’idea? Provate a leggere questi gialli, chissà mai che ci troviate qualche indizio utile”.
Senza perdere tempo ci siamo immersi in un’attenta lettura di questi romanzi, alla ricerca di un benché minima traccia purchessia. E addentrandoci nella lettura abbiamo evinto una serie di elementi inediti. Per esempio: il pur piccolo Matteo, già allora dotato di un carisma da condottiero, appena subìto il furto, impose il divieto di sbarco in quell’aula. Per una settimana abbondante a nessuno – maestre, bambini, bidelli – fu permesso di entrare in classe. I soccorsi, con distribuzione di cibo, coperte e medicinali, vennero garantiti solo ai soggetti più gracili. Nei giorni immediatamente successivi alla sparizione del pupazzetto, Salvinucciolo ebbe l’ardore e l’ardire di presentarsi all’asilo indossando una divisa sempre diversa: una volta poliziotto, un’altra carabiniere, un’altra ancora alpino, e poi pompiere, finanziere, financo ranger… Meno male, poi, che a nessuno venne l’idea di rubargli pure la sua altrettanto amatissima mini-ruspa giocattolo…
Ma torniamo all’indagine. Sfogliare pagine (migliaia e migliaia), e ritrovarsi con una lista sempre crescente di potenziali sospettati – dalla Banda Bassotti al tristemente noto Vallanzasca… – fu un tutt’uno, ma si brancolava sempre nel buio. Come si direbbe a Genova: nel buio più pesto! Eppure fu proprio in quella totalizzante oscurità, persa ormai qualsivoglia speranza di trovare un appiglio utile alle indagini, che si accese la più classica delle lampadine. “Dove si potrà mai nascondere un pupazzetto nero come Zorro? Quale sarà mai il posto migliore per far sì che non venga mai ritrovato? Sarà mica in una banalissima ma non per questo meno oscura… galleria abbandonata?”.
Così, nel cuore della notte, a fari spenti (per vedere se e poi così difficile morire, cit. Lucio Battisti) e con il motore a giri bassissimi (quasi contingentati), ci siamo diretti verso la nostra meta: i cantieri della Torino-Lione. Quatti quatti, senza neppure l’ausilio di una torcia, ci siamo addentrati nei tunnel della Tav. Tese le orecchie e con il cuore in gola, ben presto si fa largo nel silenzio una brezza di sussurro, una vocina, dapprima flebile, poi via via sempre più nitida.
“Ecco, Sergente Garcia… (un triplice sibilo) zac zac zac!… Una bella zeta disegnata sul vostro pancione… E dite al governatore della California che Zorro non lascerà impunita alcuna ingiustizia… (un fischio) Tornado! … Cloppete cloppete cloppete! Adios sergente!…”. E poi una melodia densa di ricordi, un coretto che suona familiare:
“Là sulla duna / quando brilla la luna / spunta il nostro eroe Zorro! / E lascia il suo segno, / una Z a chi è indegno: / la Z che vuol dire Zorro. / Zorro, lui ha una vita segreta! / Zorro, il segno suo è la Z! / Zorro, Zorro, Zorro…”. La mitica sigla di Zorro!!!
Ci siamo, allora, sempre più addentrati nel tunnel, cercando di non farci scorgere e… siamo rimasti basiti! Vi sareste mai aspettati di scorgere, nitida nella penombra, la figura allampanata di… Danilo Toninelli, intento a giocare, tra duelli e inseguimenti, con i pupazzetti di Zorro, del Sergente Garcia e di Tornado (questi ultimi due peraltro quasi introvabili già negli anni Sessanta: a chi mai li avrà sottratti?). Un’ipotesi, un sospetto, o chissà… qualcosa di più… Ma forse, senza aggiungere altri particolari, avrete capito anche voi perché Toninelli è così contrario al completamento della Tav…
Fatta piena luce sull’oscuro mistero, potevamo – secondo voi, cari e misteriosamente affezionati nostri lettori – restare noi due muti, come il servitore Bernardo?