Ricucire il filo della speranza e della solidarietà non è facile in una città in ginocchio, pronta ad esplodere come il vulcano che la sovrasta. Catania, coi suoi 400mila abitanti e il sogno mai abbandonato di essere la Milano del Sud, è in default. Il Comune, entrato in regime di dissesto finanziario, ha sospeso l’erogazione dei servizi essenziali per disabili gravi, anziani e periferie; da giugno, poi, non pagherà più i dipendenti.
Catania, scrive in un accorato messaggio l’arcivescovo Salvatore Gristina, offre l’immagine di una città “abbandonata e devastata”. Si rischia una catastrofe sociale, dicono i sindacati che hanno dato vita a una manifestazione cittadina. Il prefetto ha convocato un tavolo permanente di coordinamento fra istituzioni pubbliche e parti sociali. Dal governo centrale, alle prese con liti interne fra alleati e con lo spinoso caso del Comune di Roma, finora però arrivano solo inviti alla pazienza: “Dopo le europee…”
Ma come sarà Catania dopo le europee? Si possono sospendere i servizi essenziali per i più deboli senza provocare tragedie?
Molti in questi frangenti, lo ha scritto a chiare lettere l’arcivescovo nel suo messaggio Restate in città, “pensano di potersi salvare da soli”. O di fuggire. Fuggono i giovani (8 diciottenni su 10, secondo una recente indagine, hanno in animo di lasciare la città), fuggono gli imprenditori che ancora non sono stati travolti dalla crisi. I sindacati, le associazioni di categoria, il volontariato puntano, invece, a richiamare l’attenzione del governo centrale e regionale.
In questo deserto chiamato Catania, oltre che l’aiuto dello Stato, occorre anche un’assunzione di responsabilità degli amministratori locali (che negli ultimi decenni evidentemente non hanno dato prova di buon governo) e dei cittadini; perché “l’offerta politica – come ha scritto il presidente regionale di Confcooperative, Gaetano Mancini – è figlia della domanda dei cittadini. Se questa domanda antepone al bene comune la risposta diretta a un bisogno particolare, la classe politica che si formerà sarà inevitabilmente quella più pronta a soddisfarla”. Da qui, per esempio, la crescita sproporzionata degli organici nella pubblica amministrazione siciliana e del precariato pubblico.
Ma in questa città abbandonata servono, soprattutto, punti di speranza e momenti di concreta solidarietà. Come “l’Umbertata 2019”, che ha messo insieme in una festa-meeting di due giorni 70 associazioni che operano nel territorio cittadino. Come le iniziative di volontariato a Librino, il quartiere dormitorio della città. Come il prezioso lavoro educativo e sociale con i bambini e le famiglie svolto da più di 20 anni dall’Associazione Cappuccini in una delle zone più degradate del centro storico. Come l’attività delle mense della Caritas per i più bisognosi, o l’opera trentennale del Banco Alimentare.
La voglia di scappare o la paura del futuro si combattono proprio cominciando a guardare e a valorizzare ciò che deserto non è, quei punti di luce che permettono, nella tragedia attuale, di continuare a mantenere la voglia di lottare, di ricostruire e di assumersi una responsabilità personale. Occorre saperli osservare e valorizzare questi esempi di solidarietà, di dedizione, di carità, di volontariato, di voglia di non arrendersi. Perché da lì è possibile ripartire.
L’arcivescovo, come detto, è in prima linea. E anche il prefetto, che sta girando i quartieri periferici per sostenere le buone pratiche educative e sociali. Non è un caso che la Festa della Repubblica, il prossimo 2 giugno, a Catania si terrà in una piazza di un quartiere popolare e che a tenere il concerto sarà l’orchestra di “Musicainsieme a Librino”, un progetto che educa alla vita comunitaria, attraverso la musica, i ragazzini di una zona troppo a lungo emarginata. Anche così si ricuce il filo della speranza e della solidarietà.