Il dibattito, volutamente narcotizzato, sull’autonomia differenziata promosso, con maggiore vigore, dalle Regioni Lombardia e Veneto riprenderà, c’è da scommetterlo, subito dopo le elezioni europee. La forza con cui esso ritornerà alla ribalta dipenderà ovviamente dai pesi che l’elettorato assegnerà ai partiti che lo sostengono: un plebiscito per la Lega significherà, con ogni probabilità, l’ineludibile scivolamento del Paese verso un modello costituzionale frammentato e largamente antistorico.
Quale che sia l’esito del voto, vale la pena chiedersi se questa prospettiva, agitata al Nord come il naturale sviluppo del federalismo, ma da esso in effetti assai distante, rappresenti una opzione praticabile nell’attuale scenario mondiale. Il regionalismo italiano nasce realmente, infatti, nel 1970, quando le previsioni costituzionali trovarono piena attuazione, in un contesto radicalmente diverso da quello odierno. Imperava, allora, l’epoca degli Stati nazionali, il Trattato di Roma del 1957 aveva da non molto abbozzato l’idea di Europa in una forma assai più ristretta, per competenze e Paesi aderenti, di quella attuale, non esisteva ancora l’Organizzazione Mondiale del Commercio che avrebbe visto la luce solo nel 1995, la popolazione mondiale assommava a 3,7 miliardi. L’attuale Europa a 28 Stati rappresentava, inoltre, nel 1970 circa il 12% dell’intera popolazione mondiale. Negli ultimi 50 anni abbiamo assistito, invece, al sorgere di una nuova epoca basata sulla definizione di stabili e vorticose interconnessioni economiche, finanziarie, umane e culturali. L’Unione Europea vede, e probabilmente vedrà ancora, la partecipazione di 28 Stati, l’Organizzazione Mondiale del Commercio regola il 95% del commercio mondiale di beni e servizi, la popolazione mondiale, grazie anche alla diminuzione della mortalità infantile nei Paesi poveri, ha raggiunto i 7,3 miliardi e cresce vorticosamente. l’Europa a 28 Stati rappresenta solo il 7% della popolazione del pianeta.
Il gigantismo costituisce il fenomeno economico e socio-politico tipico del terzo millennio, applicabile a qualsiasi ambito umano, dai trasporti alle aziende, dalle conurbazioni urbane agli assetti degli Stati o delle loro federazioni. In questo contesto, una ordinaria visione politica, che dovrebbe conformarsi ad una strategia di medio periodo, dovrebbe naturalmente tendere a creare soggetti istituzionali ed economici adeguati per dimensione e caratteristiche agli altri competitors in campo. Una mente dotata, quindi, di normale razionalità dovrebbe concludere che solo una reale e coesa unione di Stati Europei possa ambire a competere con Paesi quali l’India e la Cina che si fanno forti, ciascuna in modo diverso, dei loro 1,4 miliardi di abitanti.
Da noi accade, purtroppo, l’esatto opposto. Tendiamo a dimenticare, o forse preferiamo celarlo, che l’intera Italia ha meno abitanti di una media provincia cinese e che l’intero Mezzogiorno ha, all’incirca, lo stesso numero di abitanti della sola Pechino. Nasce probabilmente da questa radicale ignoranza l’idea, contenuta nella bozza di autonomia differenziata, che il commercio estero diventi materia di competenza regionale. Appare semplice immaginare il presidente della Valle d’Aosta, 126mila abitanti, in procinto di chiedere appuntamento al presidente cinese Xi Jinping per definire un trattato internazionale di cooperazione economica. E appare altrettanto semplice prevedere la risposta di quest’ultimo: si rivolga al presidente di un comitato di quartiere. Ci auguriamo che il voto del 26 maggio diradi questo incubo.
Antonio Ilardi è candidato al Parlamento Europeo nella lista di Forza Italia Circoscrizione IV, Italia Meridionale