È il giorno delle elezioni europee 2019. “L’establishment europeo non ha sbagliato ricetta, l’Europa non è una storia di insuccessi: tutto si verifica per un preciso calcolo politico, ahimè di successo”. A dirlo è Alessandro Somma, ordinario di diritto comparato nell’Università di Ferrara. Ricapitoliamo dunque: quale calcolo? Normalmente si accusa la Ue di essere degenerata in un automatismo apparentemente impersonale (la sua macchina burocratica) lasciando da parte identità e valori. Niente di più sbagliato: l’identità europea c’è ed è perfettamente definita. È scritta nei Trattati. Più che di identità però converrebbe parlare di ideologia: quella dell’ortodossia neoliberale, spiega Somma. Un’ideologia il cui esito (voluto) è l’incremento della diseguaglianza sociale e la privazione di democrazia. Possibile? Sì, perché fin dalla concezione originaria il suo impianto istituzionale è fondato sul mercato. Tutto il resto è sacrificabile. Lavoro e occupazione compresi.
Partiamo da una citazione estranea alla campagna elettorale che si è appena conclusa. È tratta dall’intervista che il capo dello Stato Sergio Mattarella ha concesso alla rivista francese Politique Internationale nell’aprile scorso. “La logica storica che sottende all’integrazione [europea] è più forte di tutte le polemiche, di tutte le contestazioni e di tutte le deviazioni”.
In che cosa consiste tale “logica storica”, professore?
Si fa riferimento alla circostanza per cui l’Europa unita è sorta per promuovere la causa della pace, che avrebbe in effetti assicurato nell’arco di tutta la sua vita. Si riprende qui un motivo retorico tra i più abusati, che trascura come la pace sia stata in realtà assicurata dalla guerra fredda: non tanto per la sua forza deterrente, quanto per i condizionamenti che il socialismo ha esercitato sul capitalismo. Questo è stato costretto a manifestarsi con un volto umano, cioè ad assicurare livelli accettabili di giustizia sociale, la quale rappresenta il presupposto primo per assicurare la pace.
In che rapporto sta tale logica storica con “il vento del sovranismo” citato dal capo dello Stato?
Il sovranismo cui si fa riferimento risponde alla richiesta di protezione che le società minacciate dall’invadenza dei mercati, e dunque bisognose di giustizia sociale, rivolgono allo Stato. Una richiesta che però viene tradita: il sovranismo delle destre identitarie non mette in discussione la primazia dei mercati. Al contrario, il richiamo a valori premoderni, Dio patria e famiglia, sangue e terra, viene utilizzato per combattere sedicenti nemici esterni mentre si consente lo sviluppo indisturbato della modernità capitalista.
Mi scusi se insisto. In che modo questa logica storica è legata alla “dichiarazione Schuman”, che viene ancora oggi citata come ideale regolativo della costruzione europea?
La dichiarazione Schuman contiene un esplicito riferimento alla pace come obiettivo raggiungibile solo limitando la sovranità nazionale, innanzi tutto attraverso la creazione di un mercato comune per il carbone e l’acciaio francesi e tedeschi. Prima di questa dichiarazione lo stesso concetto era però stato espresso da altri, ad esempio da Jean Monnet all’epoca in cui era membro del Comitato francese di liberazione nazionale, da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi nel Manifesto di Ventotene, così come dagli altri iniziatori del Movimento federalista europeo.
Ma qual è l’ideologia politico-economica che fa da reale fondamento all’Unione?
È il neoliberalismo, che affida ai pubblici poteri il compito di tradurre le leggi del mercato in leggi dello Stato: quindi di tutelare la proprietà privata e imporre la concorrenza, trasformandola in uno strumento di direzione politica dei comportamenti dei cittadini. Il tutto per promuovere il mercato come principale strumento di redistribuzione della ricchezza, e quindi per ridurre l’inclusione sociale. Fino a Maastricht vi poteva forse essere spazio per un’Europa unita capace di mediare con la volontà di promuovere altre politiche, ad esempio quelle volte a realizzare la piena occupazione. L’avvio del percorso verso la moneta unica, iniziato con la promozione della libera circolazione dei capitali attraverso l’Atto unico europeo del 1986, ha però reso l’Europa unita un dispositivo neoliberale capace di resistere a qualsiasi tentativo di mettere in discussione la sua ideologia fondativa.
In un suo libro del 2014 l’ex ministro tedesco Joschka Fischer criticò duramente le “politiche di euroegoismo” praticate dalla Merkel e dal suo ministro Schäuble. Oggi l’egoismo e la sua veste politico-istituzionale, il “sovranismo”, è la critica che viene scagliata contro i critici dell’Unione, a qualsiasi partito o latitudine appartengano. Chi sono i veri egoisti?
I veri egoisti sono i custodi dell’ortodossia neoliberale, che sono anche le vestali del cosmopolitismo indispensabile allo sviluppo dei mercati. Detto questo, anche i sovranisti identitari evitano accuratamente di mettere in discussione il neoliberalismo. Semplicemente oppongono al neoliberalismo cosmopolita dell’Unione un neoliberalismo nazionale, buono per attrezzare gli Stati a farsi la guerra per la conquista dei mercati internazionali. Abbiamo invece bisogno di Stati che fanno la guerra ai mercati e che a questi fini ripristinano la sovranità popolare: abbiamo bisogno di un sovranismo democratico, unica arma contro l’egoismo neoliberale.
Perché la critica della politica deflattiva europea è e non può non essere innanzitutto diretta alla Germania?
La stabilità dei prezzi è storicamente una preoccupazione tutta tedesca, legata alle vicende storiche che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento. Per questo viene imposta all’Europa come fondamento di una politica monetaria che di fatto vieta agli Stati nazionali, formalmente padroni della politica di bilancio, di sostenere la domanda e il welfare. Il tutto presidiato dalla Costituzione tedesca: una disposizione inserita in sede di ratifica del Trattato di Maastricht ammette la cessione della sovranità monetaria solo nella misura in cui la Banca centrale europea persegue la stabilità dei prezzi come unico obbiettivo.
Un bersaglio classico: si critica la burocratizzazione come deriva o involuzione della macchina amministrativa europea, quasi essa dipendesse dall’inadeguatezza della sua leadership. Cosa può dirci in merito?
In Europa non siedono burocrati: siedono politici. Spesso privi di legittimazione democratica, come nel caso dei vertici della Banca centrale europea, ma comunque impegnati ad assumere e implementare scelte squisitamente politiche. Scelte che poi gli Stati nazionali spesso accolgono pronunciando il mantra “ce lo chiede l’Europa”, molto utile per presentare il loro operato come spoliticizzato e quindi per sterilizzare il conflitto sociale.
Quale nesso c’è tra ideologia europea, austerity e politiche depressive?
L’ortodossia neoliberale si serve della stabilità dei prezzi e dell’austerità per meglio realizzare i suoi obbiettivi. I limiti alla spesa pubblica, o peggio il pareggio di bilancio, impediscono di realizzare politiche di piena occupazione, avversate in quanto incrementano il potere contrattuale ai lavoratori. Questo impone di sviluppare modelli di crescita economica tutti incentrati sull’esportazione, visto che i salari bassi e la contrazione del welfare non consentono un elevato livello di consumi interni. Il che è peraltro coerente con un fondamento dell’ortodossia neoliberale: la libera circolazione dei capitali impone di abbattere salari e pressione fiscale sulle imprese al fine di attirare i mitici investitori internazionali, con ciò rendendo ulteriormente impraticabili le politiche di piena occupazione.
Perché l’establishment europeo sbaglia la ricetta per uscire dalla crisi? O meglio: in che misura tale ricetta è legata alla cultura economica e politica che ha ispirato l’Europa di Maastricht?
Come ho detto, l’austerità è parte fondamentale dell’ortodossia neoliberale. E da questo punto di vista l’establishment europeo non ha sbagliato ricetta, così come l’Europa non è una storia di insuccessi: tutto si verifica per un preciso calcolo politico, ahimè di successo.
Nella sua prolusione in occasione della laurea honoris causa a Bologna, Mario Draghi ha enunciato la seguente teoria della sovranità, ribadita anche da Romano Prodi: “L’Ue è la costruzione istituzionale che in molte aree ha permesso agli Stati membri di essere sovrani. È una sovranità condivisa, preferibile a una inesistente. È una sovranità complementare a quella esercitata dai singoli Stati nazionali in altre aree. È una sovranità che piace agli europei”. Come commenta?
Gli europei hanno bisogno di democrazia, non di mercato: di politica capace di controllare l’economia, non di politica asservita all’economia. Questo è possibile solo recuperando sovranità popolare, e a monte la sovranità nazionale indispensabile a tutelare le scelte frutto di esercizio della sovranità popolare. Proprio ciò che l’Unione Europea è chiamata a contrastare: in quanto dispositivo neoliberale spoliticizza il mercato, impedisce il conflitto sociale, o meglio la possibilità che l’esito del conflitto sociale si traduca in scelta politica.
La teoria citata consente ad altri di evidenziare una contraddizione dei cosiddetti “sovranisti”: l’Ue che essi vorrebbero demolire è quella del metodo intergovernativo, cioè quella degli Stati egemoni; ergo, per superare questo deficit di condivisione non occorre più ma meno sovranità. Cosa risponde?
È vero che l’Unione Europea ha un carattere spiccatamente intergovernativo. Ad esempio il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di governo, è l’organo cui i Trattati affidano il compito di definire le priorità e gli indirizzi politici. Inoltre il Fiscal compact, cui si deve il pareggio di bilancio, e il Fondo salva-Stati, punto di riferimento per la ristrutturazione dei debiti sovrani attraverso il meccanismo dell’assistenza finanziaria condizionata, sono disciplinati da trattati non riconducibili al diritto europeo. Detto questo l’Unione esercita sovranità monetaria esclusiva, e per il suo tramite azzera la sovranità di bilancio degli Stati membri. Inoltre ha competenza esclusiva in materia di funzionamento del mercato interno, quindi di libera circolazione dei fattori produttivi, alla base della sua ispirazione neoliberale.
Qual è la sua conclusione?
Ci sono validi motivi per stigmatizzare la sovranità europea, e soprattutto per chiedere una sua contrazione: tuttavia non per edificare un ordine economico incentrato sul neoliberalismo nazionale, bensì per realizzare il governo democratico dell’economia.
(Federico Ferraù)