Dopo molti anni di “rumour” sulle alleanze industriali di Fiat ieri, come anticipato dal Financial Times sabato mattina, è arrivato il comunicato stampa in cui Fca ha annunciato la proposta di fusione “paritetica” con Renault (la società risultante dalla fusione sarà detenuta per il 50% dagli azionisti di Fca e per il 50% dagli azionisti di Renault). Il percorso che ha portato alla conclusione di ieri mattina è stato lungo e laborioso, dato che negli ultimi anni non sono mancati né rumour molto qualificati su una fusione/cessione a Volkswagen, né vere e proprie offerte “ufficiali” con la lettera inviata da Sergio Marchionne a Mary Barra per una fusione con General Motors. Sullo sfondo sono sempre rimasti alcuni temi e obiettivi.
Uno era sicuramente quello di fare un altro salto dimensionale, dopo la fusione con Chrysler, per raggiungere un numero di veicoli prodotti che potesse dare al gruppo la dimensione per potere competere nel lungo termine; questo in un settore da sempre complicatissimo e in cui negli ultimi anni si è aggiunta la “sfida dell’elettrico” e dei veicoli a guida autonoma. Il secondo era quello di garantire al maggior azionista di Fiat Chrysler un profilo meno “industriale e imprenditoriale” e più finanziario; la quota che avrà Exor nel nuovo gruppo, 15% rispetto all’attuale 30%, è sicuramente più flessibile e meno impegnativa. Oltretutto in un gruppo più diversificato è strutturalmente meno rischiosa.
Tra i principali elementi dell’operazione spicca la sovrapposizione sul competitivo e sottoperformante mercato europeo. Il cuore della fusione, da un punto di vista finanziario, sono le sinergie di costo; nel comunicato stampa di ieri Fca ci avvisa che il 90% delle sinergie, per circa 5 miliardi di euro all’anno, derivano da risparmi di acquisto (40%), efficienze R&S (30%), produzione e efficienze delle attrezzature (20%). Tra le righe si leggono le sinergie con un gruppo che, contrariamente a Fca, ha investito molto e da molti anni sul motore elettrico. È molto più interessante capire come cambierà la struttura produttiva in Europa. A questo proposito è molto difficile non accorgersi del 15%, la quota di maggioranza relativa, posseduto dallo Stato francese in Renault.
Sono chiare a tutti due cose: che lo Stato francese ha i mezzi per assicurarsi che questa fusione sarà compatibile con gli interessi del sistema Paese francese soprattutto sul numero di stabilimenti e di occupati; e che il Governo francese rimarrà a presidiare anche dopo con una quota nel nuovo gruppo molto “riconoscibile” del 7,5% continuando così ad assicurarsi che il suo sviluppo continui a essere compatibile con gli interessi francesi. Il Governo italiano deve sperare che non si calchi troppo la mano sulle “sinergie”, ma è ovvio che è una posizione rischiosa soprattutto nel medio-lungo periodo in un settore in profonda trasformazione.
Altro elemento da sottolineare è il futuro delle relazioni industriali del nuovo gruppo con lo storico partner giapponese Nissan. Le indagini che hanno coinvolto l’ad di Renault Ghosn “suggeriscono” che ci possano essere problemi di governance con i giapponesi, come sembra dimostrare anche la valutazione relativa di Renault rispetto a quella di Nissan. Portare avanti questa alleanza è fondamentale per mantenere la diversificazione geografica del nuovo gruppo.
L’ultimo elemento è quello più strettamente finanziario. La fusione, con annesse sinergie miliardarie, è “piaciuta” al mercato come ampiamente atteso. Il titolo Fca è molto distante dai massimi raggiunti sotto l’era Marchionne e questo può aver contribuito; la percezione è che il gruppo abbia ora una fisionomia definita e sia strutturalmente più solido dopo la scomparsa di un manager che “da solo” garantiva ai mercati la navigazione sicura in un settore complessissimo.
Sarà anche per questo che Fiat stacca subito e prima della fusione un dividendo straordinario da due miliardi e mezzo di euro.