E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 30 aprile il Dl 34 – costituito da 51 articoli, suddivisi in quattro macro capi: misure fiscali per la crescita economica; misure per il rilancio degli investimenti privati; tutela del made in Italy; ulteriori misure per la crescita – contenente misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi. Decreto particolarmente atteso, su cui si è puntato molto, attualmente in attesa di conversione in legge, a cui si affidano le sorti della crescita del nostro Paese.
Più e diverse le voci che si levano: dalla soddisfazione del governo giallo-verde si passa alla fierezza del ministero dell’Economia, che esalta le “4 I”, le quattro direttrici d’azione del decreto Crescita: “Investimenti, Incentivi, Imprese, Immobili”, sino ad arrivare all’idea che sia un decreto che va a sanare manchevolezze ed errori contenuti nella Legge di bilancio 2019, di pochi mesi fa.
Non possiamo non osservare come, di fatto, il superammortamento, previsto dall’ex ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, dopo essere stato stralciato dalla Legge di bilancio, sia stato, poi, reintrodotto nel capo I del Dl, all’articolo 1 e, accanto ad esso, a far capolino nel decreto c’è anche il rinvio alla legge “Nuova Sabatini” e alla mini-Ires, seppure rivisitate rispetto all’ambizioso “Piano nazionale Impresa 4.0” (noto, anche, come piano Calenda), occasione, di ampio respiro, per cogliere le opportunità legate alla Quarta rivoluzione industriale.
Probabili disattenzioni per un governo troppo impegnato a ricercare fondi per finanziare reddito di cittadinanza e quota 100, che hanno fatto propendere per la soluzione più semplice ossia, in sede di Legge di bilancio, fare a meno di incentivare gli investimenti privati in macchinari e attrezzature. Un governo del cambiamento, come si autodefinisce, ma troppo poco impegnato a tutelare e promuovere il cambiamento tecnologico.
Come osserva, a ragione, l’economista Francesco Daveri, si scrive “decreto crescita”, ma dovrebbe leggersi “decreto sana-errori”, utile a rivedere talune disposizioni legislative contenute nella Legge di bilancio: dal ritorno del superammortamento, che vale tre volte meno, passando dai 3,5 miliardi della precedente pianificazione 2019-2024 agli attuali 992 milioni dal 2020 al 2027; alla mini-Ires di più facile applicabilità rispetto alla versione precedente per le aziende che reinvestono gli utili non distribuiti.
È presto per osservarne i risultati, ma già da subito l’accezione “salvo intese” del testo licenziato il 4 aprile scorso – a indicare che non tutti i nodi erano stati sciolti – non lasciava ben sperare. Teniamo presente, però, che nel corso del primo semestre 2017, rispetto all’anno precedente, grazie all’iperammortamento, al superammortamento e alla Nuova Sabatini, è stato registrato un aumento complessivo del 9% per gli ordinativi interni con riferimento ai beni strumentali, con picchi dell’11,6% per macchinari e altri apparecchi; aspettative su ordinativi ai massimi livelli dal 2010, stando a quanto si apprende dai risultati diffusi dal Mise nel 2017 con l’indicazione delle linee guida per il 2018, da intendersi come rifinanziamento con parziale revisione delle aliquote e parametri degli incentivi; tutto ciò grazie a un quadro organico e coerente quale è stato il Piano Calenda, che merita di essere mantenuto.
Nel decreto crescita ritorna il superammortamento al 130% degli investimenti in beni strumentali. Prorogata dal 1° aprile al 31 dicembre 2019 – con riferimento esclusivo alla determinazione delle quote di ammortamento e dei canoni di locazione finanziaria – la maggiorazione del 30% del costo di acquisto dei beni strumentali all’attività di impresa per quei beni strumentali il cui coefficiente di ammortamento sia superiore o uguale al 6,5%; proroga, comunque, in forma ridotta, considerato che il 130% si applica sulla parte di investimenti complessivi, che eccedono il limite di 2,5 milioni di euro. La supervalutazione – per gli acquisti in beni strumentali, esclusi acquisti di veicoli non strumentali all’impresa effettuati dal 1° aprile al 31 dicembre 2019 – potrà essere applicata agli investimenti effettuati fino al 30 giugno 2020, a condizione, però, che entro la data del 31 dicembre 2019 l’ordine risulti accettato dal venditore e sia stato già liquidato un acconto almeno pari al 20% del costo di acquisto del bene. Ne potranno beneficiare titolari di reddito di impresa e lavoro autonomo, compresi i contribuenti nel regime dei minimi e ad esclusione dei titolari di partita Iva in regime forfettario.
Una sorta di “decreto omnibus”, così etichettato dal Sole 24 Ore, che ha il fine di rilanciare una crescita al palo, ma che rischia che la sola crescita sia quella al fianco della parola decreto. Se può essere dato per buono, in parte, il ritorno di misure che hanno dato prova di saper funzionare pur partendo dall’idea che politiche di incentivazione temporanea determinano una crescita dell’economia nell’immediato che andrà, poi, in sottrazione alla spesa di domani, allo stesso tempo non può ignorarsi quanto sia necessario che le misure debbano essere calate in un quadro coerente che possa effettivamente dare impulso all’economia italiana, favorendo una maggiore capitalizzazione delle aziende, in gran parte piccole e medie imprese.
L’idea che si ha, sin da subito, è che le risorse stanziate sono pochissime: poco più di un miliardo per l’anno in corso,considerato che le misure assistenziali hanno svuotato le casse dello Stato. Un pacchetto di misure deludenti, insomma, a parte qualche agevolazione fiscale e le norme tese a favorire l’aggregazione tra imprese, il ripristino del superammortamento, sebbene per un periodo limitato, la revisione della mini-Ires, i mini-bond per le piccole imprese, il rilancio del made in Italy che sembra essere, però, più un buon proposito politico che una vera misura che abbia un buon impatto economico.
Non possiamo negare che a tanta enfasi non corrispondono cifre adeguate. Il Tesoro ammonisce e replica che lo stanziamento complessivo è pari a circa 1,9 miliardi di euro nel triennio 2019-2021, dei quali un miliardo di euro nel solo 2019 e 450 milioni annui nel biennio 2020-2021; considerando che il decreto sbloccacantieri è praticamente a costo zero, ciò significa che lo 0,1% di crescita in più quest’anno che il Documento di economia e finanza attribuisce ai due provvedimenti sarà conseguito con effetti moltiplicativi straordinari. Probabilmente non avrebbe guastato un po’ più di prudenza, per non rischiare, poi, di essere smentiti dai fatti.