Il ministero del Lavoro ha reso pubblici i dati 2018 relativi alle Comunicazioni obbligatorie. Come noto, a ogni avviamento al lavoro corrisponde una comunicazione e quindi il risultato complessivo ci indica i movimenti avvenuti nel mercato del lavoro nel corso del periodo di riferimento. Guardando il dato complessivo, abbiamo nel corso del 2018 circa 11,4 milioni di rapporti di lavoro attivati e 11 milioni circa cessati. Ciò significa che allo scadere dei 12 mesi rimanevano attivi 400 mila rapporti di lavoro avviati nel corso dell’anno.
L’analisi di questi dati presi da fonte amministrativa è utile per valutare i luoghi, i settori, le forme e la durata con cui si muovono le assunzioni e le cessazioni di lavoro nel corso dell’anno. Per completezza va detto che per avere il totale delle attivazioni si deve tenere conto anche dei contratti di somministrazione. Otteniamo così che nel 2018 il totale degli avviamenti di nuovi contratti di lavoro è stato pari a 13,3 milioni di comunicazioni totali. Data la particolarità dei contratti di somministrazione è bene tenere divisa l’analisi dei contratti attivati in forma diversa. Otteniamo così che gli 11,4 milioni di contratti di inserimento hanno coinvolto 6,4 milioni di persone con una media pro capite di 1,77 contratti. E in effetti i contratti a tempo determinato rappresentano quasi il 70% dei contratti avviati e l’83% dei contratti ha una durata inferiore ai dodici mesi.
Le nuove attivazioni di rapporti di lavoro del 2018 sono state concentrate per oltre il 70% nel settore servizi e sono aumentate solo nelle regioni del nord con un tasso superiore alla media nazionale. Rispetto al biennio precedente vi è stata una ripresa delle trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato. Il balzo di +86,4% rispetto all’anno precedente (si deve sottrarre un 8% di contratti interrotti comunque nell’anno stesso) è certamente dovuto alla normativa che ha penalizzato le proroghe relative ai contratti a tempo determinato. Sono infatti stati trasformati contratti che avevano una durata superiore ai 6 mesi e all’anno. Nel primo caso dei contratti compresi fra i 6 mesi e l’anno sono quasi il 50% delle trasformazioni e pesano poi un ulteriore 30% quelli di durata superiore all’anno. Si può dire che di fronte alla nuova legislazione le imprese hanno stabilizzato rapporti di lavoro che, pur vestiti con contratti a termine, erano già considerati di continuità nel ciclo produttivo.
Il fatto che le stabilizzazioni hanno pesato maggiormente nelle regioni del nord e nel settore industriale tende a confermare le ipotesi di stabilizzazione di rapporti di lavoro che si intendevano già parte integrante del processo produttivo. Le trasformazioni di contratto rilevate dalle Comunicazioni obbligatorie premia i più giovani. Sono soprattutto lavoratori sotto i 35 anni che passano a tempo indeterminato.
Questo risultato non cambia però lo scenario complessivo dei contratti di lavoro attivati nel corso dell’anno che fotografano ancora una durata dei contratti che segue le necessità di flessibilità che il sistema economico nel complesso esprime.
Dei contratti avviati l’83% ha una durata inferiore all’anno. Di questi il più della metà (52,3%) è inferiore ai tre mesi, e in particolare il 34,6% è inferiore al mese e addirittura il 12,8% è di un giorno. I contratti di durata compresa fra i 90 e i 365 giorni sono del 30%, il 17% è superiore all’anno ed è di due punti percentuali superiore all’anno precedente.
I contratti risultano cessati alla conclusione naturale per il 67% del totale. Il 15% risulta interrotto per volontà del lavoratore e il 10% per scelta dell’imprenditore. Quest’ultimo risultato è in diminuzione rispetto al 2017 per il calo delle chiusure di impresa registrate nell’anno.
Il dualismo nord-sud del mercato del lavoro è confermato anche dai dati delle comunicazioni del 2018. Nel sud il ricorso ai contratti a tempo determinato e di breve durata è cresciuto più della media nazionale e pesa quasi il doppio rispetto alle regioni del nord. Analogamente i contratti più stabili come l’apprendistato risultano limitati alle regioni del nord. Se messi assieme ai risultati del sistema duale di formazione si può dire che l’apprendistato di primo livello è legge applicata solo in Lombardia, Veneto e Piemonte ed è sperimentale nel resto del territorio nazionale. La mancanza di livelli minimi di prestazione e di un sistema di valutazione nazionale fa sì che le colpe dei governi regionali si trasformino in minori tutele e opportunità per i cittadini di quei territori.
Per quanto riguarda invece i tirocini si registra, pur in presenza di una buona efficacia per trasformazione finale in contratto di lavoro, un calo del 6% rispetto al 2017 e risultano solo 348.000. Di questi ben 265.000 (76,3%) sono nel settore servizi.
Uno sguardo al contratto di somministrazione ci fa rilevare che rispetto al 2017 vi è stato un calo dell’11,5%. La campagna politica e le scelte del Governo giallo-verde hanno determinato un minore ricorso a questa forma contrattuale. Va notato che oltre il 51% dei contratti di somministrazione riguardano lavoratori under 35. È perciò un contratto che coinvolge molti giovani all’avvio della vita lavorativa anche se negli anni precedenti si arrivava a sfiorare il 60%. Il numero di contratti di somministrazione attivati e cessati nell’anno è pressoché identico, segno che sono stati colpiti dalla legislazione punitiva i contratti più lunghi dell’anno e sono aumentate le missioni di durate più breve. Nel 69% dei casi la durata è in effetti inferiore ai 30 giorni ed è per il 27% usato per contratti di un giorno.
Cercare una sintesi da questo quadro offerto dall’andamento delle Comunicazioni obbligatorie appare certamente complicato. Escono però alcune indicazioni utili per le politiche attive del lavoro. Inutile porre obiettivi di inserimento lavorativo troppo alti visti i contratti usati nei diversi settori che generano la maggiore domanda di lavoro. Altrettanto evidente è che per sostenere l’occupazione giovanile si deve agire di più nel favorire i contratti di apprendistato e superare l’uso dei contratti senza tutele (tirocini e stages) se scollegati da uno sbocco lavorativo certo. Last but not least riaprire alla flessibilità che non è precarietà e rilanciare i contratti che danno tutele e pieni diritti ai lavoratori (come anche nella somministrazione) invece di ingessare il mercato con vincoli che espellono lavoratori anziché attrarre nuove attivazioni contrattuali.