Il lungo processo elettorale in Spagna è terminato. Ora il rumore politico si concentra su eventuali accordi regionali, comunali e su quello che renderà Premier Pedro Sánchez. La prima settimana è stata segnata, soprattutto nei partiti chiamati a fungere da cerniera, da un’inflessibilità proverbiale per l’intesa. L’informazione politica, per saturazione e stanchezza, lascia spazio ad altri eventi. Uno dei quali è la preparazione delle celebrazioni per il bicentenario del Museo del Prado. Gli occhi sono puntati verso la grande pinacoteca di Madrid, che “non è un museo, ma una specie di patria”, come ha detto Ramon Gaya.
È patria di molti sguardi, tra cui quello di Goya. Alcuni giorni fa, Victor Pérez Diáz ha parlato del suo famoso “Duello rusticano”. “Goya ci offre, sì, una visione conflittuale della società, ma il fatto stesso che ci dà questa visione implica l’invito che l’artista fa allo spettatore per ‘vederlo a distanza’ e ‘rifiutarlo’ o ‘evitarlo’. Non è una semplice espressione di cainismo; perché è anche una denuncia di cainismo”, sottolinea il sociologo. L’occhio che vede la polarizzazione e la denuncia non fa parte della polarizzazione.
I dati delle elezioni di aprile hanno mostrato un pareggio tecnico tra i blocchi di destra e sinistra, ma il secondo turno rappresentato dalle elezioni di maggio ha portato un “passaggio al centro”. Una diminuzione degli estremi: a sinistra Podemos ha perso quasi due milioni di voti e a destra Vox ne ha perso 1,3 milioni. L’indipendentismo in Catalogna, dopo sette anni traumatici, è salito solo di due punti e non ha raggiunto il 50%. A giudicare dai dati disponibili, sviluppati dalle riflessioni di alcuni sociologi, la narrazione semplicistica di una Spagna divisa e sempre più radicalizzata in posizioni estreme è, per usare la terminologia marxista, una sovrastruttura che viene aggiunta alla vita reale. Un racconto che ha molto a che fare con la narrazione semplicistica dei partiti e dei media.
La Spagna pensata dai politici e dai media non è la Spagna dell’esperienza. È la tesi che viene sostenuta da Victor Pérez Diáz. E che trova d’accordo altri sociologi illustri come Francisco Llera. “Abbiamo dati da molto tempo – segnala Llera – che dicono che la gente è stanca della polarizzazione dei politici e anche dei media. Questi ultimi alimentano molto polarizzazione perché la politica diventi fondamentalmente conflitto e non risoluzione dei problemi”. L’ex direttore dell’Euskobarometro aggiunge che “la richiesta di un accordo è molto grande, abbiamo un elettorato e una cittadinanza molto moderata e pragmatica”. Forse è per questo che il barometro della Cis, l’indagine più autorevole sul processo elettorale, segnala che il 40% degli elettori non si considera ben informato sui programmi dei partiti e il 60% non gradisce la violenza verbale della campagna elettorale.
Da qualche anno alcuni media e un certo movimento all’interno del giornalismo hanno lanciato il fact checking (verifica dei fatti). Non è altro che l’atto di comprovare se quanto viene riportato in un testo corrisponde alla realtà. Media come il Washington Post e il Der Spiegel hanno dedicato molte risorse a questo lavoro, che è importante nell’epoca delle fake news. La società spagnola, a giudicare da quello che dicono i sociologi, ha davanti a sé un lavoro interessante di fact-checking. In questo caso in realtà non si tratta solo di verificare i fatti, ma di recuperarli per correggere le narrazioni di polarizzazione. Ci sono fatti che non sono stati raccontati: la solidarietà e la gratuità durante la crisi, i bassi tassi di rifiuto degli immigrati, lo scarso supporto a opzioni politiche radicali… Pérez Diáz evidenzia che non si può fare una storia tutta rose e fiori, “ovviamente l’esperienza della vita sociale deve riconoscere le tendenze verso la prevalenza dei conflitti, le rivalità politiche, le competizioni economiche, i duelli per il riconoscimento sociale, la scalata degli estremi…”. Ma, aggiunge il sociologo, “tutto ciò è solo metà della storia. L’altra metà mostra tendenze opposte, il che significa riconoscere l’importanza dei circoli della solidarietà o socialità, i processi di pace e riconciliazione”.
Probabilmente la prima debolezza della società civile è non aver fatto i conti con un’esperienza che non è dominata dal conflitto o dalle categorie che incanalano la vita reale con strutture ideologiche che riducono tutto a scontro, a interessi e a uno Stato come arbitro sempre più necessario. Il cambiamento inizia dando più valore ai fatti e a ciò che essi ci dicono sul nostro stare insieme.