Vasco Rossi a San Siro più che un evento è il raduno di un popolo. Così è stato ancora una volta l’1 e il 2 giugno. Nessuno come Vasco in Italia è stato in grado di interpretare le speranze, i desideri, le paure e le delusioni di una generazione che nel suo carisma e nelle sue parole ha trovato un compagno di vita.
Per il “Vasco Non Stop Live 2019” Vasco trasferisce la sua residenza allo Stadio Giuseppe Meazza di Piazzale Angelo Moratti e ancora una volta mostra i muscoli: chiama a raccolta il suo pubblico e va per il record. Sei concerti nel giro di due settimane per un totale di 29 show nell’arco di 29 anni a partire dal primissimo e inaspettato successo del concerto “Fronte del Palco” del 10 luglio 1990.
Il ritorno di Vasco a San Siro dopo 4 anni viene vissuto dai fan come un happening. La cornice di pubblico e la dimensione del palco sono degni dei più rinomati festival rock internazionali: 100m in larghezza, 33m in altezza, 9 maxischermi ad alta risoluzione e fuochi d’artificio per completare la scenografia. Nonostante i notevoli sforzi San Siro è pur sempre il tempio del calcio e non il Teatro alla Scala e per quanto la strumentazione utilizzata sia imponente l’audio non arriva sempre pulito e la visibilità in alcuni posti rimane limitata.
Ancora con la luce del sole il concerto si apre con Qui si fa la storia in cui Vasco prova a fornire un antidoto contro i mali del mondo: “La disperazione tu proprio non lo sai, la disperazione è già qui, c’è solo un modo che io conosco, la disperazione la soffochi con me”. In conferenza stampa per presentare il mini tour Vasco ha detto “Il live è una fuga dalla realtà” e ha assegnato un ruolo importante a chi suona la musica dal vivo: “Noi musicanti portiamo gioia, almeno per una serata. Con la musica usciamo fuori dal mondo grigio, antipatico, pieno di rabbia che viviamo oggi. Almeno per una sera fuggiamo dalla realtà” (Rolling Stone).
La scaletta del concerto, per entrambe le date è la stessa, ed è “Dura e Pura” ovvero il Blasco, non avendo la necessità di promuovere alcun album in uscita e nemmeno l’esigenza di autocelebrarsi tramite un Greatest Hits, è libero di scegliere i pezzi più Rock adatti ad un pubblico vasto come quello di San Siro. I brani non necessariamente sono i più noti ma volutamente sono i più “rumorosi”: Fegato fegato spappolato, Asilo Republic, Portatemi Dio e Gli spari sopra sono un buon esempio del “fracasso” offerto.
Come dichiarato in conferenza stampa Vasco si impegna nel tentativo di trasportare il pubblico in un mondo parallelo per alleviare tutti i mali dei presenti. Lo show è perfetto e non lascia spazio all’errore. Ogni passo (qualcuno), ogni parola (poche), ogni cambio d’abito (tanti) di Vasco sono guidati da una regia perfetta. Lo stesso si può dire di ogni attacco di batteria, ogni assolo di chitarra, ogni immagine proiettata, ogni stacco di regia, ogni effetto pirotecnico sono studiati a tavolino da mesi per offrire al pubblico lo spettacolo migliore. Non c’è spazio per l’improvvisazione in queste sere e infatti tutto procede liscio senza sbavature: la band sul palco è ben oliata, la regia è perfetta e il rocker di Zocca canta bene con voce distesa e si muove sul palco con sicurezza, da vero leader, da vero Komandante.
Eppure qualcosa sfugge al controllo e impedisce al pubblico di fuggire e di estraniarsi completamente dalla realtà: le 29 canzoni del concerto, quelle due ore e mezza di frastuono e di poesia, sono un rimando continuo alla vita, riportano lo spettatore ai momenti vissuti, ai ricordi. Le sue parole, le sue musiche, le sue intonazioni sono parte della colonna sonora che ha fatto da cornice alla nostra vita. Una vita reale fatta di vittorie, sconfitte, gioie e lacrime. Le canzoni di Vasco hanno accompagnato molti di noi e fanno parte del lungo viaggio dei ricordi ancora vivi nella memoria di molti. Infatti, tutti i presenti sanno bene, hanno sperimentato negli anni e cantano in coro: “Siamo solo noi che andiamo a letto la mattina presto e ci svegliamo con il mal di testa” (Solo noi), “Accidenti all’ipocrisia, alla malinconia, alla noia che ci prende e che non va più via” (Domenica Lunatica), “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia” (Sally), “Vivere e sperare di star meglio, Vivere e non essere mai contento” (Vivere).
Sono quindi le emozioni che in sere come queste non si possono controllare perché un velo di malinconia accompagna l’esecuzione di tutte le canzoni. Sono soprattutto i classici a ricordarci che siamo vivi e che siamo ancorati alla realtà e che non basta il tempo di un concerto per essere appagati e che non basta nemmeno un nuovo record per placare il desiderio dell’uomo. “Ho capito perché non si comanda il cuore” canta ancora Vasco in Senza parole. Perché i desideri del cuore e i segreti che nasconde vanno seguiti senza però dimenticare di fare i conti con quello per cui il cuore è fatto davvero.
Proprio sul finire dello show succede l’imprevisto. Ed è lo stesso Vasco a finire vittima delle emozioni che solo lui è capace di suscitare negli ascoltatori. Con l’esecuzione di Vita Spericolata / Canzone il suo ricordo e saluto va “a quelli che non ci sono ma sono sempre con noi” e il suo personalissimo rimando è al “suo fratello più piccolo” Massimo Riva, chitarrista e compagno di viaggio morto il 31 maggio di 20 anni fa. Sul volto traspare una commozione incontrollata. L’emozione, gli occhi gonfi ripresi implacabilmente dalle immagini ingigantite proiettate sui mega schermi e consegnate ad ognuno dei presenti come una invocazione, come un grido silenzioso. In quel momento si rompe l’incantesimo, fallisce definitivamente il progetto di fuga e si torna prepotentemente alla realtà perché la vita si fa presente con violenza e come Vasco aveva cantato poco prima: “Quante volte ho pensato nella vita voglio fare quello che mi va, poi le cose mi sfuggivan tra le dita e arrivava la realtà” (Quante volte). Quel “risveglio tutto sudato” è la speranza che viene offerta a Vasco e ad ognuno di noi come un mistero lasciato in sospeso.
Il 6 e il 7 e poi ancora l’11 e il 12 giugno Vasco e la sua macchina perfetta replica a Milano. Nell’attesa è ancora una volta l’imprevisto la sola speranza per la nostra vita. E sì, “Ce la farete tutti, ce la faremo tutti”.