Nelle saghe storiche, tipo “Gli ultimi giorni di Pompei”, o le ultime ore di Mussolini e di Hitler, il tramonto si colora di bagliori rossastri sulle rovine fumanti, di corpi agonizzanti o di addii strazianti. A scuola, tutto diventa meno sublime. Dopo un maggio piovoso e fresco, è scoppiata improvvisamente l’estate, per cui, nelle ore più calde, si superano i trenta gradi. Pensare di svolgere ancora lezione è improbabile. Storditi e inebriati dai segnali dell’estate imminente, esausti dopo un anno di studio, i ragazzi sono naturalmente proiettati fuori dalle mura scolastiche. I maturandi, da qualche anno, hanno preso l’abitudine, durante i primi giorni di giugno, di venire a scuola secondo un abbigliamento “a tema”: ieri era la giornata dello sport, per cui si veniva in aula vestiti da tennisti, o in kimono, o con i guantoni da box; domani sarà la giornata dell’America anni 50, stile “Grease”; poi toccherà ai ruggenti anni 20, con la stagione di “Bulli e Pupe”, e così via.
Si vedono così i professori, alla caccia degli ultimi voti, inseguire, un po’ affannati, diciottenni addobbati in stile hawaiano o troglodita; ricondotti alla ragione, li si sistema a fatica in qualche aula più o meno silenziosa, per rivolgere loro le ultime fatali domande prima dell’esame: cosa mi sai dire della negatività dialettica di Montale? E del male di vivere leopardiano? Del relativismo gnoseologico di Pirandello? Soavi fanciulle, tatuati energumeni, con in testa ben altro, farfugliano qualcosa che assomiglia a una risposta; la scena, vista da fuori, farebbe pensare a una piece del teatro dell’assurdo, degna di Ionesco o di Beckett.
Penso a come avranno fatto i miei studenti ad arrivare a scuola così mascherati: li immagino in autobus, alle prese con situazioni imbarazzanti. Ma i più giungono a scuola con borse e zaini, in cui, al posto dei libri, è stipato il materiale per il trucco. Qualcuno, in realtà, prova a ribellarsi al conformismo, ma alla fine viene travolto dall’ondata, “dall’ansia di obbedienza a un ordine non pronunciato”, come denunciava profeticamente Pasolini nel 1974; ognuno di loro “sente l’ansia, degradante, di essere uguale agli altri nel consumare, nell’essere felice, nell’essere libero; perché questo è l’ordine che egli ha inconsciamente ricevuto, e a cui ‘deve’ obbedire, a patto di sentirsi diverso. Mai la diversità è stata una colpa così spaventosa come in questo periodo di tolleranza”.
Si potrebbe chiosare, aggiornando Pasolini, che il potere si è fatto più scaltro e se negli anni 70 ci imponeva di essere tutti uguali, oggi ci lascia essere diversi, e così siamo liberi di vestirci apparentemente in modo diverso: ma la finalità, mostruosa, è la stessa. Siamo schiavi, ma non ce ne rendiamo conto.
Verrebbe da consigliare al nostro ministero dell’Istruzione, così provvido in materia di riforme, di aggiungerne un’altra: abolire gli ultimi giorni di scuola. Sarebbe più in tema con la scuola dell’assurdo.