40 minuti di faccia a faccia. Senza che Conte lo sapesse. Sta in questo dettaglio il fatto politico più saliente del nuovo corso Lega-M5s. L’incontro di ieri suggella, dopo l’accordo sulla sblocca-cantieri, la pace necessaria tra le due anime della maggioranza.
Viene archiviata l’ipotesi del voto anticipato. Non è un particolare secondario. Era una tentazione politicamente legittima, coerente (passare all’incasso) e caldeggiata da più parti, in modo evidentemente interessato, con un duplice scopo: da un lato, quello dei giornali mainstream, esporre la Lega all’incertezza delle urne. Una trappola: si sa come si va al voto, ma non si sa mai come se ne esce. E nel frattempo tutto può accadere, soprattutto quando si ha l’Europa contro. Dall’altro lato, le urne erano anche un obiettivo di Berlusconi, per imbrigliare la Lega e ridarsi un ruolo politico in Europa.
Niente da fare. Al paese, alla Lega, e non ultimo al suo stesso leader – ha realizzato Salvini – serve continuità di governo. Tradotto: resistere. Usare il tempo per consolidare le posizioni acquisite; per esibire i frutti della “svolta” ottenuta grazie alla vittoria alle europee e al ribaltamento dei rapporti di forza nella maggioranza verde-gialla, a cominciare dallo sblocca-cantieri; per impostare la necessaria riduzione del carico fiscale, magari rendendo più digeribile la flat tax alla nomenclatura di Bruxelles.
Ma soprattutto, per evitare la pericolosissima situazione di vulnerabilità che si sarebbe prodotta con un non-governo in carica per il disbrigo degli affari correnti in attesa di un voto a fine settembre. La soluzione ideale per propiziare una tempesta sui titoli di Stato tra fine luglio e agosto, con annessa impennata dello spread. Una pericolosa fase di transizione buona per tutti i possibili sviluppi, soprattutto quelli che piacciono a Parigi e Berlino. Insomma, Salvini ha rispettato il corollario più importante del motto andreottiano. Se il potere logora chi non ce l’ha, quando si è al potere è meglio non perderlo.
Così, Salvini e Giorgetti hanno ignorato le sirene amiche, hanno raffreddato le fazioni leghiste del voto subito e si sono messi a tessere le fila di una politica di mediazione “continentale”. I provvedimenti qualificanti del governo rimangono, “quota 100 e pensioni non si toccano” (lo ha detto perfino Di Maio). Dunque no a una manovra correttiva; no all’aumento dell’Iva, sì alla flat tax. In realtà, si tratta: vogliamo rispettare il Patto di stabilità, hanno fatto sapere da Palazzo Chigi. È la linea che Tria dovrà perseguire in modo convincente nelle sedi Ue a nome del governo.
Ieri doveva esserci un incontro Salvini-Mattarella: non c’è stato perché “non in agenda”. E non ci sarà, salvo imprevisti, perché non ce n’è bisogno. Il Quirinale ha già mandato un preciso messaggio ai due vicepremier, il vincente e lo sconfitto. Dev’essere un’intesa reale, nei fatti e sui provvedimenti, tra Salvini e Di Maio a legittimare – o a escludere, in caso contrario – la continuazione del governo. Dunque se l’intesa c’è, si può andare avanti.
Resta ora un problema da risolvere. Si chiama Giuseppe Conte. Dal Vietnam, il capo del governo ha fatto sapere di “attendere fatti da Di Maio e Salvini”. Una posizione che ieri Salvini e Di Maio hanno smentito, invecchiando precocemente il ruolo di mediazione che il premier aveva creduto di ritagliarsi in esclusiva. Forse il “partito del voto” ha perduto il suo vero leader, e il rimpasto potrebbe riguardare, per primo, proprio l’avvocato del popolo.