Matteo Salvini e Luigi Di Maio ritrovano una linea comune anche sulla risposta da dare all’Europa. La Ue chiede tagli, ma “io credo che sia arrivato il momento di dire un’altra cosa – ha dichiarato il vicepremier pentastellato a Radio 24 -: si fanno sicuramente tutti i tagli delle spese inutili dello Stato anche quest’anno, si fa la lotta all’evasione, con il carcere per i grandi evasori, però dobbiamo abbassare la tassazione per riuscire a far ripartire l’economia e questo lo dobbiamo fare anche con dei margini che ci deve dare l’Unione europea sugli investimenti e sull’abbassamento del cuneo fiscale”. Sulla stessa lunghezza d’onda il leader leghista: “Rispetteremo tutti i numeretti, ma nessuno potrà mai imporci di aumentare le tasse: noi le vogliamo abbassare”. E il premier Conte, così come il ministro Tria, sono tornati a ribadire che “reddito di cittadinanza e quota 100 non si toccano”. Con queste premesse, visto il tono perentorio con cui la Commissione Ue ha bocciato la politica economica del Governo, su quali basi potrà partire un negoziato? Su quali punti Bruxelles e Roma potrebbero raggiungere un compromesso? L’Italia troverà sponde in Europa nella sua richiesta di allentare l’austerity? Rischiamo che un eventuale confronto a muso duro possa far arrivare in autunno la Troika anche in Italia? Lo abbiamo chiesto a Massimo D’Antoni, professore di scienza delle finanze all’Università di Siena.
Dopo il recente voto europeo, non le sembra che la musica sia cambiata? Con la richiesta della procedura d’infrazione per debito eccessivo stiamo andando verso una resa dei conti tra Ue e Italia?
Più che cambiata la musica, direi che non è cambiata come qualcuno sperava.
Lega e M5s, dunque, hanno sbagliato calcoli e auspici?
È sempre difficile capire quanto sotto elezioni qualcuno dica delle cose perché ci crede o perché le deve dire, ma se come molti asserivano l’auspicio era quello di una diversa Commissione che potesse avere un diverso atteggiamento rispetto ai Paesi, questa speranza è andata certamente delusa. Anzi, dall’indebolimento della grande coalizione popolari-socialisti, nel momento in cui si dovesse aprire ai liberali, potrebbe derivare un atteggiamento ancor più rigoroso e rigido rispetto alle politiche di bilancio.
La decisione sulla procedura d’infrazione sarà presa dal Consiglio europeo: l’Italia rischia di trovarsi isolata o troverà delle sponde?
Considerato che, con la parziale eccezione della Francia, non si sono registrate avanzate di forze populiste o nazionaliste rilevanti fuori dall’Italia, anche l’ipotesi di un asse con altri Paesi sembra sfumato. Non so se l’Italia sarà più sola e isolata, ma è senz’altro altrettanto sola e isolata di quanto fosse prima. Questo certamente rende più difficile la fase negoziale che si sta per aprire. Ma vorrei sottolineare un aspetto.
Prego.
Il consistente rafforzamento sul piano nazionale della Lega costituisce un elemento che dovrebbe indurre, e penso induca, una certa prudenza da parte della Commissione, perché qualsiasi irrigidimento rischia di dare ancora più forza al partito di Salvini, con evoluzioni che l’Europa penso voglia evitare. Quindi non considero probabile che si arrivi a una resa dei conti.
Moscovici ha detto che “la porta resta aperta”. Ma c’è davvero la volontà di dialogare con l’Italia ora che in gioco non c’è tanto la correzione di qualche decimale, ma soprattutto l’idea stessa di rivedere le regole e il paradigma su cui si sono fondate negli ultimi anni le politiche di bilancio della Ue?
Che lo si dica o meno, sono convinto che sotto sotto anche a Bruxelles abbiano accettato l’idea che le politiche di austerity non sono efficaci per affrontare il problema del debito italiano. Il problema dell’Italia, anche dal punto di vista della sostenibilità del debito, è la sua crescita così modesta. Dicevo che l’orientamento ideologico della Commissione difficilmente potrà cambiare in meglio, ma, volendo essere un po’ ottimisti, possiamo sperare che alla fine prevalga anche a Bruxelles un atteggiamento più pragmatico, come sembra trasparire dalle parole di Moscovici.
Quindi in cosa spera?
Né il governo italiano né la Commissione hanno in questo momento interesse a forzare la situazione. Una qualche forma di accomodamento si potrebbe dunque trovare.
Su quali possibili basi?
E’ difficile rispondere, considerando che nessuna delle due parti può permettersi di perdere la faccia e rinunciare alle proprie bandiere. Da un lato, la Commissione non può rischiare di perdere credibilità sull’applicazione delle regole e quindi, per evitare la procedura di infrazione, chiederà delle contropartite. Dall’altra parte, non è realistica una sconfessione totale dei cavalli di battaglia di Lega e M5s. Occorrerà distinguere tra le dichiarazioni altisonanti e la realtà che emergerà dai numeri.
Dombrovskis, però, è stato molto duro su reddito di cittadinanza e soprattutto Quota 100, perché provocano danni all’economia italiana. Barattare un allentamento di queste due misure con maggiori margini per gli investimenti e la flat tax può essere una strada praticabile?
Non mi pare possibile una vera retromarcia su questi provvedimenti, anche se il Rdc è già molto ridotto in termini di costi rispetto agli annunci iniziali, ma si potrebbe proporne un’attuazione più timida. Credo che una partita importante si giocherà sulla questione delle clausole di salvaguardia, la cui neutralizzazione è molto costosa, e sulla cosiddetta flat tax. Dico cosiddetta perché, essendo limitata ad alcune fasce di reddito, non si tratta di una vera flat tax; questo suo carattere parziale consente forse una qualche modulazione in base alle esigenze di bilancio. Ma è difficile indovinare dove possa collocarsi la linea del compromesso.
La Ue, tra le riforme che ci chiede, esorta anche a spostare gradualmente la tassazione verso patrimoni e consumi…
In effetti, l’idea di abbassare le imposte sul reddito e aumentare quelle sui consumi fa parte da anni delle raccomandazioni Ue. Da questo punto di vista, non mi stupirei se, nonostante le dichiarazioni contrarie dei leader di Lega e M5s, potesse alla fine configurarsi uno scambio tra aumento dell’Iva, cioè attivazione delle clausole di salvaguardia, e riduzione delle imposte sul reddito, nella forma di una qualche flat tax. Una soluzione del genere potrebbe trovare il gradimento di Bruxelles e potrebbe essere venduta politicamente anche all’interno. Ricordo che l’Iva è un’imposta che ha alcuni vantaggi, tra i quali quello di non danneggiare la competitività del nostro export.
E se invece un compromesso non verrà trovato, con la procedura d’infrazione rischiamo una nuova recessione?
Stiamo parlando di un procedimento molto complesso, che richiede diversi passaggi. L’apertura della procedura – che, ricordiamolo, per la prima volta in assoluto, riguarda il debito e non il deficit – è il primo passo e prevede un monitoraggio molto più stretto e puntuale sulle politiche fiscali da parte della Ue, con l’assunzione di impegni precisi di rientro che vengono verificati a breve termine; è solo nel caso in cui tali impegni non fossero rispettati che si applicherebbe una sanzione, che comunque dovrebbe sempre passare da una scelta politica. Nel caso in cui si arrivasse alla procedura di infrazione, i rischi di recessione potrebbero esserci se le richieste di aggiustamento fiscale fossero troppo severe, come già visto in passato.
Potremmo vedere in autunno la Troika anche in Italia?
Questo non mi sembra un approdo probabile. Guardando all’attuale clima politico, non credo che l’Italia sia disposta ad accettare una nuova fase di lacrime e sangue o un commissariamento di fatto. Il sentire comune è un po’ questo: con Monti abbiamo già dato con quel tipo di politica. Come dicevo, mi sembra più probabile che si arrivi a un compromesso tra controllo del debito e politiche di rilancio dell’economia. Da non sottovalutare, poi, quanto ha detto ieri il presidente Draghi: l’andamento odierno dello spread, in ribasso, sembra indicare che i mercati finanziari lo hanno preso sul serio.
Come valuta le parole di Draghi?
Ci sono stati dei passaggi molto interessanti. La linea della Bce è proseguire a oltranza con la politica di espansione del credito e con bassi tassi d’interesse. Ho sentito che c’è stata insistenza sulla necessità di avvicinarsi, forse addirittura superare, l’obiettivo del 2% di inflazione. Con l’inflazione ferma ancora intorno all’1% l’azione della Bce ha finora mancato il proprio obiettivo, nonostante Quantitative easing e misure espansive. Draghi ha inoltre dichiarato che le politiche fiscali dovranno fare la loro parte per sostenere l’economia. Questo è molto importante: significa lasciare ai Paesi spazio per politiche fiscali più espansive o meno restrittive, con buona pace di chi ha affermato che ormai la situazione di difficoltà fosse superata.
Lo stesso Draghi ha però chiesto all’Italia “un calo del debito credibile”. Che ne pensa?
Mi colpisce questo aggettivo, considerato che in queste conferenze stampa, con gli occhi degli investitori puntati su ogni sfumatura lessicale, gli aggettivi non sono mai scelti a caso. Credibile, da un lato, può alludere all’eccesso di ottimismo di certe previsioni del Governo, ma – dall’altro – significa che il piano di rientro deve essere realistico, sostenibile, cioè non tale da uccidere l’economia. Mi pare un possibile preludio per un negoziato costruttivo e una posizione meno rigida da parte di Bruxelles.
(Marco Biscella)