Negli ultimi tempi, complice probabilmente l’ottimo risultato ottenuto alle elezioni europee, si sta accentuando il pressing della Lega sulla scuola. Il vicepremier Salvini lo va ripetendo come un mantra: state certi che riformeremo la scuola. In che cosa dovrebbe consistere quest’ennesima prova di forza nei confronti di un’istituzione che di riforme nella storia recente ne ha viste praticamente una per ogni cambio di governo?
Il documento orientativo dell’attuale maggioranza di governo è sicuramente il contratto Lega-M5s che al punto 22 (Scuola) osserva che la scuola si trova in grave difficoltà a causa della “Buona Scuola” (ossia la legge 107/2015 di matrice renziana) incapace di fornire risposte adeguate a insegnanti e ragazzi e perciò da superare. Come? Il documento congiunto punta il dito sul sistema di reclutamento dei docenti cha da un lato ha precarizzato il personale scolastico e, dall’altro, lo ha umiliato con il sistema della “chiamata diretta”.
Per quanto riguarda la componente studentesca, il contratto stigmatizza in primo luogo il cosiddetto fenomeno delle “classi pollaio, in secondo luogo l’eccessiva dispersione scolastica e, infine, entra con crescente disapprovazione nel tema specifico dell’alternanza scuola-lavoro che impegnerebbe i ragazzi “in attività che nulla hanno a che fare con l’apprendimento”.
Da allora (maggio 2018) non s’è vista l’ombra di disegni di riforma organica. Si sono viste, questo sì, operazioni di smontaggio dell’impalcatura precedente e aperture di cantieri accompagnati da rassicurazioni. Come dire: lasciateci lavorare, siete in buone mani.
In dettaglio, la famigerata “chiamata diretta” dovrebbe essere definitamente affossata dalla legge di bilancio 2019 che ha abolito l’ambito territoriale. Non tutto però è chiaro, perché l’abolizione riguarderebbe solo i docenti che hanno chiesto di essere trasferiti: per gli altri si attende una normativa ad hoc che sembra impantanata.
Passiamo all’altro cantiere impegnativo: quello del sistema di reclutamento dei docenti. Il ministro Bussetti, in quota Lega, ha recentemente preannunciato (intervista a La Stampa del 25 maggio) un sistema serio di abilitazione e una nuova stagione di concorsi. Parole già usate in passato. Cosa ci riserva il futuro? I siti scolastici solitamente bene informati prevedono l’uscita entro l’estate del bando di concorso per le scuole secondarie di I e II grado. Poi le prove in autunno e le assunzioni da settembre 2020. Per accedere ai concorsi sarà sufficiente la laurea magistrale o, per chi già la possiede, l’abilitazione. Secondo le ultimissime news dal ministero di viale Trastevere, tutti i precari potranno accedere ad un percorso abilitativo speciale (Pas), tranne coloro che, avendo 36 mesi di servizio alle spalle, compreso quello nelle scuole paritarie, potranno avvalersene come titolo utile per l’assunzione. In caso di caduta del governo tutto sarà da rifare.
Sul versante degli alunni, è stata radicalmente modificata dal Miur l’alternanza scuola-lavoro che già in passato aveva profondamente diviso il mondo della scuola in favorevoli e contrari. Ora che l’alternanza, per una probabile ragione di carattere economico, non c’è più ed è surrogata dai Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (Pcto), si viene a sapere che in alcuni istituti tecnici e professionali sarà conservato il monte ore precedente: 400 ore nel triennio, anziché le “nuove” 150/180. E così con l’alternanza muore, e forse per questo qualcuno si oppone, non solo un altro capitolo della “Buona Scuola”, ma soprattutto il patrimonio di esperienze di scuole e docenti che l’hanno vissuta come una forma di apprendimento e di insegnamento “attraverso” il rapporto diretto con situazioni di lavoro.
Ma tutto questo non fa ancora una riforma organica, come non fa ancora riforma, ma piuttosto sdegnoso atto di ripudio dell’avversario (non si sa quale) la contraddittoria modifica dell’esame di maturità che ad anno scolastico iniziato introduce una nuova formula per le prove scritte (tutto sommato ragionevole) accanto a una modalità per la prova orale o colloquio veramente fantasiosa, tutta ruotante attorno a nodi tematici che saranno assegnati al candidato tramite il sorteggio di una busta su tre!
In realtà pare esserci ben altro all’orizzonte. E non si sta parlando tanto della ripartizione di competenze tra Lega e grillini in materia di istruzione: al M5s sta a cuore la soluzione delle “classi pollaio”, come dimostra una loro proposta di legge, volta a rivedere il rapporto alunni/docente per classe; alla Lega la decomposizione della Buona Scuola. All’orizzonte c’è, per opera della Lega, la profonda modificazione dell’immagine della scuola intesa spesso, almeno nelle parole dei suoi rappresentanti, come un kibbutz israeliano improntato sulla sicurezza dei suoi membri (telecamere negli asili nido e controlli antidroga alle superiori) e sui valori identitari assicurati dalla ripristinata educazione civica.
In questo bagno ideologico, in cui la scuola finisce per essere terreno di scontro o peggio trincea di fermenti statalistici (non ce n’era davvero bisogno), finirà purtroppo per essere macchiata dal sangue delle liti opposte una questione seria che è stata toccata tangenzialmente e che non potrà avere seguito se non sarà alimentata da consensi in qualche modo trasversali. La questione cioè dell’autonomia scolastica, da ripensare fino all’estrema conseguenza della singola scuola come soggetto giuridico, libero e responsabile didatticamente e dal punto di vista amministrativo. È una materia delicata ma importante per un Paese il cui limite è il centralismo burocratico in campo educativo. La cui soluzione non è tanto la regionalizzazione dell’istruzione, ma ben più semplicemente e profondamente l’autonomia delle realtà scolastiche ancora da completare e da riempire di contenuti. Si riuscirà ad imboccare questa strada? C’è da augurarselo anche se le premesse non sono esaltanti.