La Congregazione per l’educazione cattolica della Santa Sede ha diffuso in questi giorni un documento, dall’emblematico titolo Maschio e femmina li creò, che per la prima volta affronta in modo sistematico la questione del gender. È interessante osservare il contesto in cui la Chiesa comincia a pronunciarsi su un tema così contraddittorio e capace di ridestare tifoserie e antichi rancori: il gender è guardato anzitutto come una questione educativa, inerente la crescita della persona. È difficile nello spazio di un articolo intervenire in modo significativo su una materia così complessa, tuttavia la lettura del documento suggerisce alcuni spunti per coloro che non credono di sapere già tutto, ma che si mantengono curiosi e attenti anche di fronte alla più insidiosa delle rerum novarum del nostro tempo.
La Chiesa parte dal definire il gender “un errore della mente”. Nel farlo la sua intenzione non è tanto quella di affermare una posizione ideologica, quanto una dato della realtà: noi non siamo ciò che pensiamo di essere, quello che siamo viene prima di ogni nostro pensiero. Nel concepire la persona come qualcosa di astratto, che si definisce come uomo o donna solo con l’esercizio della propria volontà, il gender si mostra come ideologia, ossia come un’idea precisa dell’uomo, un’idea che tende a separare ciò che siamo da ciò che sentiamo, il nostro dato biologico, sessuale e fisico dalla nostra percezione psicologica. L’uomo diventa queer, qualcosa di fluido e indefinito che prende la conformazione più consona al proprio umore, al proprio istinto. Torniamo schiavi, schiavi della mente, schiavi della storia che ci ha portato a certe conclusioni, a certe percezioni.
In questo senso l’ideologia gender è pericolosa, perché separa l’uomo da sé, realizzando il paradosso di un pensiero che si fa paladino di un piacere libero e assoluto, bistrattando il corpo, ridotto a mero strumento di quel piacere. È qui il nocciolo del problema educativo: la crescita è un processo di rimescolamento, di sovvertimento dell’ordine costituito, di crisi. All’interno di essa il ragazzo è chiamato a trovare e a ritrovare sé, non a rimanerne in ostaggio per sempre, senza mai accedere a quel livello ultimo dell’esperienza umana che è la responsabilità. Propagare il gender come un dato scientifico e non ideologico rischia di bloccare un’intera società, rendendola incapace di futuro e di responsabilità. È questa la colonizzazione ideologica che la Chiesa teme: non quella che va contro la propria dottrina, ma quella che va contro l’umano.
Infine – mi sono volutamente soffermato a lungo su questa prima parte per evitare che le parole che dirò possano essere fraintese o confuse – la Chiesa distingue l’atteggiamento culturale – pericoloso – dal vissuto esistenziale di molti che percepiscono un’indefinitezza di sé. Come Madre, la Chiesa si domanda: perché il gender ha oggi così tanto successo? È solo perché potenze oscure tramano contro il matrimonio e la Chiesa o è forse perché per troppo tempo la società borghese che si è ammantata di cristianesimo ha stigmatizzato il sentire del singolo, il percepire se stessi come problema? È qui che il documento della Congregazione si mostra davvero audace: nel riconoscere che c’è un punto di dolore nella vita di molti che – se la Chiesa non lo accoglie – può sfociare in violenza, in odio verso la fede e in disastro per l’umano. Non è questione di connivenza, di collateralismo, di ingenua mediocrità o buonismo, ma è questione di fede: ci interessa ancora quello che accade nel cuore dell’uomo? E prima ancora di giudicarlo, di orientarlo, ci interessa dargli dignità, restituirgli spazio, offrirgli ascolto?
Se la risposta fosse no, se il nostro giudizio prevalesse su qualsiasi forma di incontro e di amicizia con chi queste cose le sente e le vive, ecco che per questi nostri amici, per una parte di ciascuno di noi, si aprirebbero le porte di una scorciatoia facile, di un’ideologia che li aspetta e li legittima. Non perché appassionata del loro cuore, ma perché – in fondo – interessata soltanto all’affermazione del nulla. Quel caos in cui il male prospera e la vita del singolo si riduce soltanto a bene di consumo. Da comprare al miglior offerente.
La posta in gioco è alta. E questo è solo l’inizio di un lungo cammino. Nella Verità, certamente. Ma forse, anche e soprattutto, in quella Carità che tutto sopporta, tutto spera. Che non avrà mai fine.