I crescenti, e a volte latenti, bisogni sociali e le relative sfide che oggi siamo chiamati ad affrontare derivanti dal modello economico tradizionale sono al centro del dibattito politico internazionale ed europeo.
Sono evidenti i limiti dell’economia tradizionale in termini di generazione di equità e benessere. C’è la percezione generale di una insostenibilità ambientale, sociale ed economica che porta inevitabilmente e urgentemente a rivedere il modo di fare impresa. Si rende pertanto necessario un cambiamento orientato a un’economia più etica e civile, che ponga l’uomo al centro, e di cui le imprese e la politica devono farsi carico per il perseguimento del bene comune.
La transizione verso un modello di sviluppo sostenibile, però, è ancora poco sostenuta dalle azioni politiche italiane. Una voce che sembra fuori dal coro è quella di Papa Francesco, che prende a cuore questa sfida e chiamerà a raccolta, ad Assisi tra il 26 e il 28 marzo 2020, per il suo “Economy of Francesco” i giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo e i migliori cultori e cultrici della scienza economica per promuovere un patto comune, un processo di cambiamento globale in cui ciascun giovane si senta protagonista di questo patto, facendosi carico di un impegno individuale e collettivo per coltivare insieme il sogno di un nuovo umanesimo più attento alle attese dell’uomo.
Da una ricerca di Eumetra emerge che sono sempre di più gli italiani attenti agli impatti dell’economia sull’ambiente e sul sociale. Secondo l’indagine, il 72% degli italiani ritiene che le imprese dovrebbero occuparsi seriamente di sostenibilità e il 67% ritiene giusto che le imprese tengano conto degli obiettivi di sviluppo sostenibile, anche se ciò dovesse comportare un aumento dei prezzi dei propri prodotti o servizi. Confortante è, pertanto, la crescita del numero di imprese italiane che indirizzano le proprie strategie verso la creazione di valore condiviso, utilizzando anche la rendicontazione dei propri impatti economici, sociali e ambientali.
Dalla povertà e dalla fame al clima e alla giustizia sociale, è necessario che le imprese ripensino i loro approcci alla generazione di valore. Le Pmi ricoprono un ruolo centrale ai fini dell’effettivo raggiungimento dei Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite per il 2030, in quanto driver principale dello sviluppo economico. L’Agenda 2030 è ormai diventata per le imprese un imperativo. È necessario puntare sulla crescita economica, mantenendo e consolidando la competitività su tre elementi virtuosi educazione-ricerca-innovazione in un’ottica di inclusione sociale, tutela dell’ambiente e stabilità istituzionale.
A tutte le imprese, di qualunque dimensione, settore e localizzazione geografica, è richiesto un approccio fortemente proattivo allo sviluppo sostenibile per i prossimi undici anni, attraverso lo sviluppo di nuovi modelli di business responsabile, gli investimenti, l’innovazione, il potenziamento tecnologico e l’azione in partnership.
Così come previsto dai 17 SDGs, the last but not the least, l’attuazione degli altri obiettivi richiede una stretta collaborazione tra governi, imprese e società civile, un’azione sinergica, collaborativa e proattiva da parte di tutti gli attori dello sviluppo sostenibile.
Se ne è parlato durante la Conferenza “Le imprese e la finanza per lo sviluppo sostenibile. Opportunità da cogliere e ostacoli da rimuovere” tenutasi il 28 maggio scorso a Milano presso Assolombarda, nell’ambito del “Festival dello Sviluppo Sostenibile”, promosso da ASviS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile).
Focus della conferenza è stato quello di individuare le opportunità per la transizione verso un modello innovativo di sviluppo per le Pmi e gli ostacoli da rimuovere affinché non frenino questo processo, e di trovare delle soluzioni che accelerino la transizione alla sostenibilità.
La sostenibilità in quanto fattore strategico per le imprese e importante elemento valoriale e reputazionale deve essere sostenuta con azioni, anche politiche, che rimuovano ostacoli normativi, procedurali e culturali poiché ne rallentano la svolta sostenibile chiesta dai cittadini. È stato proposto un tavolo di lavoro su questo tema presso la Presidenza del Consiglio, presentando un documento con le linee di azioni necessarie da adottare. La “Carta” delle imprese per uno sviluppo sostenibile è stata promossa e firmata da dieci associazioni imprenditoriali più rappresentative aderenti all’ASviS, confermando la volontà, dichiarata in occasione del Festival dell’anno scorso, di promuovere modelli di business basati sullo sviluppo sostenibile, la partnership con tutti i portatori d’interesse e l’utilizzo della finanza etica e responsabile al fine di contribuire a raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile previsti dall’Agenda 2030.
Dalla conferenza, il presidente Asvis, Pierluigi Stefanini ha ribadito che “occorre passare dalla comunicazione al racconto della sostenibilità economica, sociale e ambientale messa in pratica”. È emersa la necessità di un cambio culturale imprenditoriale con un approccio alla sostenibilità come elemento chiave della competitività, in cui le imprese devono far crescere la filiera, premiare fornitori sostenibili e innovare. Inoltre, è necessario – come affermato dall’amministratore delegato di Pirelli, Marco Tronchetti Provera – contribuire alla crescita della comunità intorno alle fabbriche, perché non può esserci sviluppo sostenibile se la società non cresce.
Anche il mondo della finanza guarda con sempre maggiore attenzione a imprese innovative, rispondenti ai criteri ESG (Environmental, Social and Governance), obbligando a investire non tanto in un’ottica di vantaggio immediato, ma in una prospettiva di medio-lungo termine. Così come ha scelto di fare Banca Italia, privilegiando nelle proprie scelte di investimento le imprese con le migliori prassi ambientali, sociali e di governance, che impiegano metodi produttivi rispettosi dell’ambiente, che garantiscono condizioni di lavoro inclusivo e attente ai diritti umani. Ciò sarà possibile attribuendo maggior peso ai fattori ESG, che favoriscono una crescita sostenibile, attenta all’ambiente e alla società. La decisione di privilegiare investimenti sostenibili è la conseguenza di una più attenta consapevolezza sulla necessità di ridurre costi e rischi che possono derivare da inappropriate condotte aziendali, con ricadute sul sistema economico e sulla stabilità finanziaria e crescita economica.
Le imprese devono porre attenzione al cambiamento climatico per mitigarne l’impatto finanziario, per evitare possibili rischi sul futuro approvvigionamento finanziario sui mercati. I grandi investitori istituzionali ormai guardano con diffidenza chi non inserisce il climate change nella gestione dei rischi e non pone attenzione riguardo ai temi della sostenibilità. Le imprese dovranno adottare buone pratiche che portino a modificare rapidamente stili di vita e di consumo, il modo di produrre, il modello economico tradizionale, ad esempio è prioritario ridurre gli sprechi, utilizzare energie rinnovabili, ottimizzare i processi produttivi, organizzare la logistica in chiave più sostenibile. Se al cittadino si chiede di cambiare il proprio stile di vita per renderlo più sostenibile, alle aziende si chiede di modificare il modo stesso di fare impresa, con l’adozione di business model orientati alla sostenibilità.
Tra le imprese innovative e virtuose rientrano le società benefit, che integrano nel proprio business model anche una strategia volta a raggiungere impatti positivi sulla società e sull’ambiente. Inoltre, le istituzioni non possono esimersi dall’avere un ruolo fondamentale per promuovere e realizzare politiche e azioni che favoriscono la riduzione o l’eliminazione di impatti negativi sull’ambiente e sulle persone.
Durante la conferenza è intervenuto anche Mauro Del Barba, presidente di Assobenefit, la neo-associazione di categoria delle società benefit, il quale ha ribadito come “le società benefit non rinunciano al profitto, ma anzi lo lasciano al centro dello scopo dell’impresa in quanto forza irrinunciabile, uno dei due motivi per i quali si deve fare impresa. C’è un secondo motivo, lo avrete già capito, ed è quello di perseguire uno o più obiettivi di beneficio comune. Si tratta di far entrare nel nucleo fondante del sistema economico, nella cellula dell’economia – l’impresa – un programma che non rappresenta in effetti un’innovazione, ma il recupero della tradizione italiana dell’economia civile di Antonio Genovesi. Oltre alla specifica veste giuridica, le società benefit hanno un secondo pilastro, quello della misurazione d’impatto che assegna a questo nuovo modo di fare impresa una impronta chiara. La sostenibilità oggi rischia di diventare una parola vuota di significato. Oltre ad essere una questione vocazionale e identitaria, essa si deve tradurre nella dimensione del fare. Le società benefit offrono un modello. Come Assobenefit stiamo dicendo agli imprenditori di fare un passo avanti, di non restare nella mischia di chi parla di sostenibilità e probabilmente la pratica, ma di emergere come esempio per l’intero sistema imprenditoriale italiano, approfittando del vantaggio competitivo derivante dal concetto di economia civile storicamente radicato nel nostro Paese e dalla presenza della legge.
Diventare società benefit è facile: si va da un notaio e ci si costituisce o ci si trasforma. Ma poi, dopo, ci sono precise responsabilità giuridiche, il beneficio comune, la misurazione d’impatto. È come prendere la propria canoa (la propria impresa) e metterla in un altro fiume. Da quel momento sono altre le correnti che la spingono”.
La Cassa depositi e prestiti ha inoltre messo in campo ingenti risorse per dare una spinta a questo approccio verso la sostenibilità. L’amministratore delegato Fabrizio Palermo ha infatti dichiarato che “con il Piano industriale 2021 Cdp ha scelto di orientare il proprio approccio strategico e operativo ai princìpi dello sviluppo sostenibile, mediante un modello innovativo di business e operativo, includendo nel processo di valutazione degli investimenti, oltre all’aspetto economico anche misure degli impatti sociali e ambientali, prevedendo un budget finanziario da 200 miliardi per i prossimi tre anni”.
Ci si aspetta anche dalla politica un spinta verso la transizione alla sostenibilità prevedendo già nella prossima Legge di bilancio delle iniziative che vadano in questa direzione, come quelle di fiscalità ambientale volte a ridurre e ad azzerare gli incentivi ai combustibili fossili e i sussidi ambientalmente dannosi; programmi di investimenti pubblici orientati alla sostenibilità sociale, ambientale, politiche di rigenerazione urbana; azioni per la promozione dell’economia circolare, la decarbonizzazione dell’economia, l’efficienza energetica e una più efficace gestioni dei rifiuti.
Inoltre, ci si auspica che venga accolta la proposta di legge che prevede il riconoscimento nella nostra Costituzione del valore della sostenibilità e del diritto delle nuove generazioni a ricevere una società sostenibile. Con la modifica dell’articolo 2 della Costituzione verrebbe allargata la portata della norma, che arriverebbe a richiedere l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale «anche nei confronti delle generazioni future».
Con il secondo intervento, invece, la proposta di legge guarda a un altro dei Principi fondamentali della Repubblica, quello indicato all’articolo 9, sulla ricerca scientifica e la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico: si aggiungerebbero un terzo e un quarto comma, l’uno sancendo il riconoscimento e la garanzia della «tutela dell’ambiente come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» e l’altro la promozione «delle condizioni per uno sviluppo sostenibile».
Infine, con il terzo intervento si andrebbe a modificare l’articolo 41, quello dedicato alla libera iniziativa economica privata, che disporrebbe, nella versione proposta, che l’iniziativa economica abbia come limite, oltre a quelli già previsti (dignità umana, sicurezza, utilità sociale), anche l’ambiente e che sia finalizzata non solo a fini sociali, ma anche allo sviluppo sostenibile.