In una pittoresca cittadina sulla costa britannica, Annie conduce una vita ordinaria con il fidanzato, dividendosi tra il lavoro e la casa. È giovane, carina, intelligente, ma imprigionata in una routine che comincia a starle stretta. Il fidanzato, Duncan, è ossessionato da un musicista un tempo famoso, Tucker Crowe, sparito dalle luci della ribalta per ragioni misteriose. Annie non riesce proprio a capire il motivo per cui le canzoni di Crowe siano così importanti per Duncan, al punto da fargli perdere la testa all’uscita di un nuovo album. Quando Annie lascia una recensione sul sito dedicato al cantante, però, riceve una mail sorprendente. Tucker Crowe è rimasto colpito dai suoi commenti e i due danno inizio a una strana corrispondenza, attraverso la quale costruiscono un’amicizia che culmina in un rocambolesco incontro a Londra.
Il film può contare su personaggi ben caratterizzati, a cominciare dal Tucker Crowe di Ethan Hawke, padre e nonno irresponsabile ma affettuoso, che vive nel garage della sua ex e corre in UK per far visita a una delle figlie che ha appena partorito. Un disastro d’uomo, che ha accumulato rapporti evidentemente sbagliati e figli sparsi per il mondo, in bilico tra la fama e il vuoto. Ethan Hawke riesce a renderlo credibile, simpatico nel suo modo di fare sconclusionato, sincero nei discorsi con Annie, forse l’unica relazione giusta della sua vita.
Rose Byrne (Annie) dà vita a un personaggio adorabile, una donna rinchiusa in un mondo troppo stretto che viene catapultata in un’esistenza opposta alla sua. Annie è conquistata suo malgrado dal cantante, non certo per la sua fama, ma per la fragilità che vede in lui e che può condividere. Anche Duncan (Chris O’Dowd), odioso quando non ascolta la fidanzata e la tradisce con la collega, finisce per farci sorridere con la sua idealizzazione di Tucker Crowe, che infine si scontra con la realtà.
La collisione tra la costruzione di un mito e la verità celata dietro le apparenze è uno dei temi centrali, e più interessanti, del film basato sul romanzo di Nick Hornby. Una celebrità diventa tale perché qualcuno la idealizza, costruisce un personaggio e si lascia ossessionare, senza sapere che quel “famoso” è più umano di quanto non si pensi. Ma Juliet, Naked è anche la storia di due persone in cerca di una seconda occasione: Annie si è sempre presa cura di tutti e non ha realizzato i suoi sogni, Tucker è precipitato nell’oblio e non trova più il bandolo della matassa. L’uno aiuta l’altra a ritrovare entusiasmo, stimoli e fiducia, ma non è detto che il loro destino sia per forza quello di stare insieme. Non è l’happy end romantico, in questo caso, a contare, ma la consapevolezza che i due staranno bene, o almeno, staranno meglio di quando li abbiamo incontrati all’inizio.
Lo stile di Nick Hornby si riconosce nel mix tra sentimenti e ironia, nello sguardo affettuoso sui personaggi descritti nelle loro fragilità e piccole ossessioni, nella visione della vita sempre ricca di sfumature. La musica, le ambientazioni British e le situazioni tragicomiche che popolano la pellicola rendono il film di Jesse Peretz godibile fino alla fine, nonostante qualche sfilacciamento qua e là nella trama e il ritmo a tratti calante.
Si esce dalla sala con un pizzico di speranza in più sulla possibilità di cambiare la propria vita, anche quando non si è più dei ragazzini. E questo è un ottimo motivo per vedere il film.